di Roberto Zadik
Fra tutti gli episodi tragici della Shoah la razzia al Ghetto di Roma, che poi ha portato alla deportazione di più di mille ebrei e all’eccidio delle Fosse ardeatine ordinato dallo spietato Erich Priebke, è stata una parentesi estremamente drammatica e tutto sommato poco raccontata, specialmente a Milano dove per la prima volta se n’è parlato domenica 26 febbraio al Memoriale della Shoah.
Prima con una visita guidata alla bella mostra “16.10.1943.La razzia” realizzata in collaborazione col Memoriale e con l’Associazione Figli della Shoah e del Cdec e condotta dallo storico e curatore dell’esposizione, Marcello Pezzetti, uno dei massimi esperti di Shoah e direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma, che ha accompagnato un vasto gruppo di visitatore nei locali dell’atrio del Memoriale illustrando foto, documenti e disegni di quel tragico rastrellamento. “Lo eseguì un gruppo esiguo di soldati tedeschi capeggiati non solo da Kappler, come si crede – ha spiegato Pezzetti – ma anche da altri misteriosi e inquietanti personaggi come Theodor Danneker, uno dei principali collaboratori di Adolf Eichmann, e altri loschi figuri, che con la collaborazione della polizia e del regime fascista, arrestarono e derubarono la popolazione ebraica locale. Questa mostra solitamente si faceva a Roma, ma abbiamo voluto occuparcene anche qui a Milano sottolineando non solo il dolore delle vittime ma anche la ferocia dei persecutori di cui spesso si parla molto poco”.
“Vivevano 8mila ebrei nel Ghetto di Roma – ha fatto sapere Pezzetti -. Fortunatamente, per così dire, i soldati tedeschi non conoscevano la città e non si fidavano degli italiani. Erano pochi uomini, circa trecento, alcuni di loro volontari, molti erano riservisti e militari poco esperti e per questo diversi ebrei scapparono, si nascosero nei conventi e dove capitava. Se fossero stati italiani i soldati, conoscendo la lingua e la Capitale, sarebbe andata ancora peggio”.
L’esposizione è un’interessante e inedita rievocazione storica di Pezzetti che ha mostrato al pubblico le mappe del Ghetto, immagini e testimonianze dei processi ai gerarchi, al temibile Rudolph Hess, e i quadri del grande pittore Aldo Gay che riuscito a scampare al rastrellamento nazista immortalò quei tragici momenti su schizzi, tele, disegni. “Vennero deportati non solo ebrei ma gente che aveva lontane origini ebraiche ma era stata battezzata e cresciuta cattolica, mentre scamparono ebrei camuffati da finte identità o quelli che si nascosero in Vaticano. Dopo la cattura di più di milleduecento persone quel tragico sabato del 1943 ne vennero deportati mille, mentre duecentotrenta si salvarono perché non considerate ebree dai nazisti. Anche nelle selezioni la follia e la bestialità regnavano sovrane”.
Successivamente, dopo la visita, collegata alla razzia del Ghetto di Roma, è stata, sempre domenica, la presentazione, avvenuta nell’Auditorium Nissim, del bel libro dello storico Gabriele Rigano “L’interprete di Auschwitz” (254 pp, Guerini e Associati Editore, costo 22 euro e 50), che racconta l’incredibile storia dell’ebreo fiumano Arminio Wachsberger. Un ebreo religioso che come ha detto Rigano durante la serata “arrivò a Roma a 30 anni e che grazie alla sua riservatezza, alla sua brillante concretezza, e alla sua profonda conoscenza del tedesco salvò la vita a molti ebrei negoziando coi nazisti e riuscendo a comprenderne la folle mentalità e i punti deboli”.
Il volume che raccoglie “più di quattro ore di interviste” è stato presentato da Rigano assieme a relatori d’eccezione come Ferruccio De Bortoli, presidente del Memoriale, Milena Santerini, docente di Pedagogia e Deputata al Parlamento, delegata al Consiglio d’Europa, nella Commissione Uguaglianza, e le figlie di Wachsberger, Clara e Silvia, che hanno ricordato il loro grande papà che “è stato uno dei 16 ebrei a tornare a casa dopo il 1945”.
Nell’introduzione a suo padre, sua figlia Clara ha sottolineato “il grande impegno a essere un testimone attivo e fu non solo uno dei primi a parlare di Shoah quando nessuno voleva parlarne, rilasciando un’intervista nel lontano 1955, ma divenne uno dei fondatori dell’Associazione Figli della Shoah, nata nel 1998 assieme a altri sopravvissuti ai lager. Immediatamente decise di essere testimone e portatore della Memoria in prima persona continuando fino all’età di 85 anni”. Come ha ricordato la Wachsberger e poi i relatori della serata, primo fra tutti De Bortoli “si tratta di un testo molto importante che ha impegnato l’autore in un monumentale lavoro di ricostruzione storica e geografia e non solo riguardo ai fatti del Ghetto di Roma.”
De Bortoli ha ricordato “le splendide paginee dove Rigano descrive minuziosamente l’atmosfera di Fiume città in cui nacque Arminio, cosmopolita e aperta dove si parlavano varie lingue e varie religioni convivevano pacificamente. Di famiglia religiosa era un ebreo praticante e metteva i filatteri tutti i giorni. Per amore del suo popolo decise di fare di tutto per salvare dai nazisti più ebrei possibile nonostante quando arrivò a Roma si sentisse spaesato fu determinato nel suo intento fino alla fine, nel suo essere testimone e costruttore di Memoria al tempo stesso”.
Arminio Wachsberger era un uomo complesso, concreto e efficiente che dovette affrontare tante difficoltà non solo ai tempi della Shoah ma anche dopo. “La Memoria” come ha specificato Milena Santerini “ha varie fasi e non è mai stata uguale da un’epoca a un’altra, passando da fasi di oblio iniziale, come il periodo dal 1947 al 1955 dove fra Guerra di Corea e Guerra Fredda non si volevano rivangare quelli orrori e al tremendo fenomeno del negazionismo, molto presente anche oggi fra incapacità emotiva a accettare tanto dolore e i recenti populismi e manipolazioni che sono molto pericolosi. Per questo è necessario organizzare eventi come questi per ricordare la figura di un grande personaggio come Arminio”.
Molto interessante è stata la testimonianza di Marcello Pezzetti che ha conosciuto personalmente Wachsberger e che ha ripercorso efficacemente la sua personalità e la sua diversità dagli altri ebrei romani, decisamente molto più laici ma che dopo le prime difficoltà lo accolsero come uno di loro. “Era di un’intelligenza non comune, molto sveglio ma sembrava impacciato e molto riservato. Era figlio del Rabbino Capo di Fiume, restò sempre una persona precisa e un grande lavoratore e queste sue doti assieme a una perfetta conoscenza del tedesco gli permisero di sopravvivere e di dialogare con tremendi personaggi come il gerarca Rudolf Hess o il Dottor Mengele”. Arminio Wachsberger fu un Giusto, una persona che riuscì a procurare cibo agli ebrei denutriti di Auschwitz e a aiutare diversi ebrei del Ghetto di Roma a diventare interprete ufficiale delle SS, convincendo nientemeno che lo spietato Danneker a procurare dei viveri per i prigionieri ebrei. “Cercò di salvare più persone possibile” ha fatto sapere Pezzetti “negoziando coi gerarchi e gli alti funzionari, sfruttando l’avidità di oro e di denaro e corrompendoli se necessario”. Il libro di Rigano è un misto di storia e Memoria, di ricostruzione famigliare e personale di questo grande uomo che come ha detto l’autore “sebbene non l’abbia mai conosciuto, perché è scomparso nel 2002 è come se fosse stato sempre con me. Io e sua figlia Clara abbiamo cominciato a lavorare a questo libro nel 2010 cercando di ricostruire la personalità di un uomo che per tutta la sua vita si è opposto alla violenza, alla follia e all’odio non parlando mai in giro di quanto facesse ma con la forza dei fatti e delle azioni”.
La serata si è conclusa con grande successo e una serie di domande da parte del pubblico.