di L.B.
“Gerusalemme non è più il centro del mondo”. Quale sollievo deve aver provato il filosofo francese André Glucksmann nello scrivere queste parole su Le Monde del 19 febbraio.
Osservando ciò che sta accadendo per le strade del Cairo come di Tunisi, la conclusione tanto evidente quanto inedita per chi, come Glucksmann, ha visto manifestare in piazza gli arabi nel corso almeno degli ultimi trent’anni, è stata proprio questa: Gerusalemme non è più il centro del mondo, non è più “l’ossessione delle ossessioni”.
Perchè?
Glucksmann fa notare come in questi giorni, a differenza che nel passato, non si sia assistito al consueto rito delle bandiere bruciate, nè di quelle israeliane, nè di quelle americane. Certo, alcuni casi ascrivibili all’odio anti-israeliano ci sono stati e uno, peraltro, particolarmente grave – ci riferiamo alla violenza commessa sulla giornalista americana Lara Lohan, presa al grido di “ebrea, ebrea”.
Ma, dice Glucksmann, si è trattato di casi isolati. Non c’è stata la costante anti-israeliana che molti, forse, si attendevano e temevano; e questo, scrive Glucksamm, è un “non-evento che è un evento”. “Da quando esiste lo Stato di Israele, è noto a tutti che la sorte di Gerusalemme, dei rifugiati palestinesi e dei territori, costituisce un problema centrale. “Questo nodo gordiano, da tagliare in un colpo solo e definitivamente, spiegherebbe la necessità delle dittature, l’assenza di libertà nei paesi arabi, giustificherebbe la mobilitazione anti-occidentale del mondo arabo, per non parlare poi del blocco culturale e maschilista che segna le società del Maghreb, del Machrek ( o Mashreq, la categoria con cui si intende in generale l’Oriente arabo), come anche degli immigrati della prima, seconda e terza generazione delle periferie europee”.
Secondo Glucksmann, i ragazzi del Cairo come di Tunisi, oggi, sembrano aver compreso la realtà meglio dei politologi di professione: la loro sorte, il loro futuro, come quello del mondo, non gira e non può girare attorno a Gerusalemme. Quando il governo provvisorio dell’immediato dopo-Mubarak ha dichiarato di voler rispettare i trattati internazionali, inclusa la pace con Israele, nessuno ha protestato; anzi si sono viste persino giovani manifestanti con il velo in testa chiedere per l’Egitto “una democrazia come quella in Israele”.
Per questi giovani, “cavalieri del web” – come li definisce Glucksmann – le gerarchie, le priorità sembrano cambiate; la questione palestinese non è più al primo posto nei loro pensieri. Non l’avranno certo dimenticata, ma per ora sembrano averla rinviata ad un altro tempo, scrive Glucksmann: essa non rientra fra i motivi per cui sono scesi in strada; la questione palestinese non è lì a determinare, come in passato, il corso del mondo – loro e nostro.
Gerusalemme e la questione palestinese insomma, afferma ancora Glucksmann, non costituisce più “l’ossessione delle ossessioni”, non è più la causa di tutti i mali, quella che giustifica la tirannia dei governi, la povertà, intellettuale e materiale, dei popoli arabi.
Non sappiamo dire cosa accadrà nei prossimi giorni, nelle prossime settimane o mesi; non sappiamo cosa faranno i militari e cosa invece i Fratelli musulmani. Le ipotesi sono molte, come del resto anche le incognite.
Ma, ora come ora, il dato da rilevare, la novità da osservare è che i giovani, quelli che hanno spinto Mubarak alle dimissioni dopo trent’anni di governo autoritario, stanno lottando innanzitutto per le loro libertà di uomini e cittadini egiziani (e tunisini, e ora anche libici, yemeniti, algerini), e in questo ci sentiamo di concordare con Glucksmann.
Questi giovani, per una volta, sono scesi in piazza per se stessi, per rivendicare i loro diritti di uomini e donne, non quelli di un popolo, di una nazione contro un’altra. Hanno capito, forse, che la loro libertà, che il loro futuro soprattutto, non dipende solo dalle congiunture della politica internazionale, ma anche dalle scelte dei governi che si ritrovano in casa. E l’esempio in questo senso, quello più evidente, l’hanno avuto e ce l’hanno continuamente davanti agli occhi: Israele non è forse una democrazia – pur con tutti i pregi e i limiti tipici delle democrazie moderne – nonostante le ostilità e le guerre che da sessantre anni segnano i giorni della sua esistenza?