Ruggero Guarini su “Il Tempo” di venerdì 10 agosto ha pubblicato un articolo dal titolo “Mani Pulite, la verità di Di Pietro”; nell’occhiello si legge “Dopo aver rivalutato Craxi, l’ex pm potrebbe finalmente raccontarla”. E quale sarebbe la verità che Di Pietro dovrebbe raccontarci? Che nel 1992 la caduta del CAF – l’asse Craxi-Andreotti-Forlani – “fu organizzata da un circolo ebraico-americano”. E Di Pietro, secondo Guarini, dovrebbe sapere e dire tutto questo perchè nel 1992 durante il viaggio che fece negli Stati Uniti a spiegare la sua “rivoluzione giudiziaria”, fu accompagnato, di conferenza in conferenza dal prof. Edward Luttwak”, ovvero da colui che, a “sommesso parere” del Guarini, “potrebbe anche essere un distintissimo socio del circolo ebraico-americano dei promotori di Mani Pulite”.
“Tonino Di Pietro, a vent’anni dall’attacco a Craxi, – spiega Guarini – ha ammesso che il leader socialista ebbe ragione nel rilevare che l’allora pm evitò di indagare anche sui finanziamenti del Pci. E allora, perché non si decide a dire tutto quello che sa sulle vere origini di Mani Pulite?”
Il “teorema”, come lo definisce Guarini, sarebbe che il fine ultimo di Mani Pulite era di far cadere il CAF. In questa “operazione”, Di Pietro e i magistrati di Mani Pulite, ricevettero un aiuto dagli Stati Uniti. Infatti, aggiunge ancora Guarini “in alcune cerchie americane e israeliane l’annientamento del CAF, visto che uno degli aspetti più allarmanti della sua politica estera era l’orientamento filoarabo e in particolare la sua tresca col terrorismo palestinese, era giudicato un lieto evento”.
“Sono convinto, prosegue Guarini, “che il vero micidiale errore” di Craxi, “quello che forse più di ogni altro contribuì a determinarne la caduta, non fu affatto la questione morale, ossia la faccenda del finanziamento illegale del partito, ma quella simpatia per il terrorismo islamista che trovò la sua massima espressione nella guasconata di Sigonella, quando egli, dopo aver contestato agli americani il diritto di arrestare e processare i quattro palestinesi che sulla Achille Lauro avevano ammazzato e gettato a mare, con la sua carrozzina di paralitico, il vecchio ebreo americano Leon Klinghofer, credé anche opportuno favorire la fuga del capo di quell’impresa e lasciare che anche tutti i componenti di quel commando assassino se la squagliassero, un po’ alla volta, uno dopo l’altro.”
“So bene che può sembrare una teoria indimostrata, e forse indimostrabile”, conclude Guarini, “ma credo che in essa si celi il sugo della vera storia delle origini di Mani Pulite”.
Articoli come questo producono e sviluppano sentimenti anti-israeliani e antiebraici nella maniera più subdola. Insinuano ancora una volta che dietro qualsiasi cosa accada nel mondo, ci sia dietro una macchinazione israeliana/ebraica; e lo fanno con poche mirate parole, infilate qua e là in un discorso nel quale ben pochi, leggendone solo il titolo, avrebbero potuto immaginare di trovarvi coinvolti gli ebrei o Israele.
Più o meno analoga situazione in ben due articoli pubblicati nel numero del 4 agosto di “D. La Repubblica delle Donne” – il magazine femminile de “La repubblica”.
Nella rubrica fissa “Streaptease culturale”, ogni settimana un diverso personaggio del mondo della cultura viene intervistato su argomenti del tipo: cosa stai leggendo in questo momento? Quali programmi guardi alla TV? Qual è la tua prima memoria culturale? Cosa canti sotto la doccia? Cosa vorresti suonassero al tuo funerale? Ha mai commesso illegalità nel nome del sapere?”. A quest’ultima domanda, due settimane fa lo sceneggiatore inglese Paul Laverty, ha risposto: “Non è una vera e propria azione illegale, ma sono pronto a iniziare il boicottaggio culturale contro lo Stato di Israele sostenendo le richieste delle associazioni palestinesi”.
Qualche pagina più avanti, un articolo dedicato alle nuove tecnologie e a come difendersi dalle spese folli per la connessione internet quando si è all’estero. L’argomento sembra interessante e del tutto adatto al periodo estivo. A rispondere alle domande di Laura Piccinini, fra gli altri c’è anche Matteo Flora, CEO della start-up “The Fool”, il quale approfitta dell’intervista per svelare “un argomento ottimo per le conversazioni da spiaggia”: “Lo sapete che dietro Whatsapp [applicazione per l’invio di sms gratis] c’è una start-up israeliana, e sotto, i fondi d’investimento del Mossad? Si stanno facendo un archivio enorme con le nostre rubriche telefoniche”. Laura Piccinini, autrice dell’articolo, commenta: “O non ve ne frega nulla se i vostri dati personali li ha il Mossad o fatevi un numero Voip…”
Non era un invito esplicito al boicottaggio di Israele, ma implicito si…
Sullo stesso giornale, per due volte, in due articoli e contesti completamente diversi l’uno dall’altro, che nulla avevano a che vedere con Israele e la politica israeliana, è stato lanciato, en passant, un messaggio politico molto chiaro: boicottiamo Israele.
Così l’invito al boicottaggio di Israele diventa affermazione pura e semplice, che non ha bisogno di essere problematizzata, spiegata, contestualizzata; non c’è bisogno di mettere a confronto due voci diverse, di avere un parere favorevole e uno contrario, di spiegare perchè sostenerlo e perchè rifiutarlo. Lo si afferma e basta – e in sedi dove meno ce lo si aspetta. Se da un giornale militante di destra o da un sito negazionista, sappiamo cosa aspettarci, non ci facciamo sorprendere troppo da certe affermazioni. Diverso è il discorso quando certe frasi le troviamo infilate en passant in articoli e interviste pubblicati sui giornali e le riviste, diciamo così, di tutti i giorni. Non solo: anche in queste sedi, c’è differenza tra ciò che il lettore si aspetta di leggere in un articolo sul ministro negazionista entrato al parlamento romeno (la notizia è di pochi giorni fa), o in quello dedicato alla rinuncia al tour in Israele della rock-band del momento; e ciò che si aspetta di leggere invece in un articolo sui costi delle connessioni internet all’estero. Nei primi può immaginare che all’incirca si parlerà di negazione della Shoah, di boicottaggio di Israele per protesta contro la politica di occupazione. Nel secondo, no, non può nemmeno lontamente immaginare di trovare un invito ad abbandonare una delle app più diffuse al mondo perchè, si afferma, finanziata dal Mossad che attraverso di essa controlla tutti i nostri contatti.
L’attenzione a siti antisemiti “conclamati”, come stormfront.com o terrasantalibera.org, è importante perchè ci rivela la presenza e l’attività di gruppi “organizzati” che hanno un fine preciso e dichiarato: diffondere l’odio antiebraico. Ma per certi aspetti la loro pericolosità e incisività nel tessuto sociale appare più contenuta: si rivolge ad un pubblico di adepti, già indottrinati. Articoli come quelli citati sopra, invece, con le loro insinuanazioni, esplicite o implicite, vanno ad alimentare quel pregiudizio che finisce poi per creare i nuovi “adepti” dei vari Stormfront.
I commenti lasciati dagli utenti dei social network, sono un’altra testimonianza della diffusione di pregiudizio antisemiti e anti-israeliani. Di certi profili dichiaratamente razzisti, si è parlato spesso e se ne parla con frequenza sui siti specializzati in questo genere di ricerche e analisi. Ma, anche qui, come nel caso della carta stampata, la differenza è data dalla sede in cui si lascia il commento. Un conto è leggere certi nei profili di gruppi che non nascondono, anzi sbandierano le proprie idee antisemite; altro è leggere certi commenti in pagine di cosidetta informazione o contro-informazione.
Nei giorni successivi all’attentato di Burgas, in Bulgaria, sul profilo Facebook de “La Repubblica”, alcuni commenti all’articolo che riportava la cronaca dell’attentato, erano un misto di luoghi comuni, ignoranza – talvolta anche gretta; di mescolamento dei piani e delle argomentazioni:
– “chissà se prima o poi gli israeliani smetteranno di ammazzare la propria gente per giustificare le loro guerre…. ovviamente mi dispiace per le vittime”.
– “ma perchè non mettete a fuoco i continui atti israeliani contro i palestinesi che avvengono quotidianamente??? sarà perchè il vostro caro proprietario è Sionista??? perchè non parlate del fatto che i missili israeliani colpiscono ogni giorno territori palestinesi???”. Lo stesso utente aggiunge poco dopo: “non parlo del dimenticatoio di un giornale Sionista….. me lo aspetto…. qui parlo di un vero e proprio occultamento di verità politiche… che dipingono gli Israeliani come eterne vittime… la verità è poi che Sionisti e Israeliani sono due mondi paralleli ma ben distinti… qui i Sionisti fanno ammazzare per il loro tornaconto economico israeliani innocenti, e giocano al massacro con i palestinesi creandosi notizie, e cercando le stragi in qualsiasi modo…. purchè per innocenti passino sempre loro!!! questa a casa mia si chiama INFAMIA!
– “è orribile ed ingiustificabile, ma chi sparge odio non può certo raccogliere amore. Chiusi nel loro profondo egoismo atavico stanno facendo di tutto per epurare i palestinesi rinchiusi ormai in un lager e nelle loro mire c’è anche un prossimo intervento armato nei confronti dell’Iran, questo si chiama imperialismo e senza dialogo non si va lontano”.
Un articolo del 23 luglio scorso diffuso dalla pagina Frontiere News riguardante la profanazione di 57 tombe del cimitero ebraico di Kaposvar in Ungheria, è stato commentato dagli utenti della pagina “Informazione Libera” con parole come queste:
– “questi sn cretini, ma in israele? anche là ci sn neonazisti! anche in italia..e sn al governo..lo stato israeliano viene definito “ebraico” ma grida all’olocausto, mentre sta sterminando un intero popolo da 60 anni, nell’indifferenza generale! sionisti? nazisti!”
Oppure:
– “distruggere lapidi cmq e’ un atto schifoso, ma anche mostrarsi delle “vittime” quando in palestina distruggono delle famiglie intere e’ abominevole. E l’Onu? Tace xchè si vede che ha un qualche interesse che vada cosi'”
– “io sono contro ogni forma di violenza. ma vedere loro che si offendono perchè hanno distrutto le loro tombe mentre loro ogni giorno bombardano le case dei palestinesi.e dire che sono delle vittime??”
– “Mi pare meno deplorevole profanare delle tombe di morti piuttosto che il popolo palestinese rimasto ancora vivo”.
Nei commenti lasciati su Facebook si trova traccia anche dell’antisemitismo più classico, degno dei Protocolli dei Savi di Sion, come ha fatto notare Andrea Valdambrini su “Il fatto quotidiano del 4 agosto. Nell’articolo “L’antisemita si nasconde in un post” Valdrambrini faceva riferimento all’intervento di un utente iscritto al gruppo “Voglio essere intercettato” – una pagina di “Satira e informazione”, con oltre 47.000 utenti, dove si commenta e discute di democrazia diretta, di libertà di espressione, di rinnovamento della politica, e dove non si manca di plaudire a Grillo e al Movimento 5 stelle. Dove anche però, osserva Valdrambrini, “hanno trovato spazio i più vecchi pregiudizi antisemiti, con argomentazioni che ricordano da vicino quelle dei Protocolli dei Savi di Sion”.
Angelo Sciascia, autore del post in questione, venerdì 3 agosto aveva scritto infatti: “Oggi noi popolo italiano dobbiamo scegliere tra libertà e schiavitù: la libertà in un Paese che vuole ritrovare le sue tradizioni, la sua cultura, la sua missione, oppure scegliere la schiavitù sotto la livrea ebraica”. E ancora: “Se dovesse scoppiare la guerra o la rivoluzione le nostre prime granate raggiungeranno le banche ebraiche”. A questo si aggiungeva una sequela di insulti e minacce nei confronti di una presunta lobby ebraica che, a suo dire, dominerebbe il mondo della finanza. Sciascia nel suo post, trascriveva anche una dichiarazione di un non meglio specificato ex ufficiale dell’esercito americano: “quello che gli ebrei hanno fatto ai tedeschi durante il periodo di Weimar lo stanno facendo al mondo intero”.
Per questo post, Sciascia si è guadagnato ben 37 “likes”.
Facebook, i social networks, il sistema dei blog, che consentono a chiunque di “lasciare un commento” a proposito di qualsiasi notizia pubblicata, sembra aver liberato le persone da qualsiasi freno inibitorio. La possibilità che questi strumenti offrono, di poter esprimere liberamente le proprie idee, di poter finalmente comunicare al mondo intero quel che si pensa, ha rotto qualsiasi tabù. Espressioni palesemente antisemite, che prima evidentemente ciascuno teneva per sè, ora hanno libero corso, e si confondono nel marasma dei commenti, delle frasi smozzicate, dei commenti ordinati non in un classico botta-e-risposta, ma in un mero ordine cronologico dove talvolta diventa difficile persino recuperare la “logica” e l’origine dei discorsi.
Così, può capitare che laddove si inneggi alla libertà di espressione in rete, o si attacchi la “casta”, si trova fra le altre mille parole scritte, anche la frase antisemita sulla “lobby ebraica”, sulla “schiavitù alla livrea ebraica”. Insomma, non c’è più bisogno di salotti, reali o virtuali, per esprimere le proprie idee, nemmeno quelle che la maggioranza riteneva fino a non molto tempo fa, riteneva sconvenienti e degne di pubblica condanna (come di fatto è accaduto con il post di Angelo Sciascia; ma è uno su migliaia).
La crisi economica, dice Betti Guetta, responsabile del settore antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica, pesa molto in questa “liberazione” delle parole e dei discorsi. Non solo, aggiunge, “pesano molto anche i quasi 70 anni che ci separano dall’epoca nazista, e più in generale l’ignoranza della storia.” “E i sondaggi che sto conducendo sul grado e i diversi livelli di diffusione del pregiudizio antisemita e razzista fra persone di diversa provenienza geografica, estrazione sociale e culturale, sembrano confermare queste tendenze: ovvero la perdita di qualsiasi tabù, anche linguistico, su temi come la Shoah o la politica di Israele; sia anche, purtroppo, le sue possibili cause”.