Il dovere di testimoniare: Goti Bauer e Liliana Segre

Personaggi e Storie

Ogni anno, in questo periodo in particolare, nei giorni che precedono e seguono la data istituzionale del 27 gennaio, due donne si caricano di un pesante fardello e rinnovano dolore e ricordo; sono sopravvissute alla Shoah e portano le loro voci, la testimonianza diretta della Storia, nelle scuole, nei teatri e parlano a tanti giovani. Ascoltiamole.

Come è cambiato, se è cambiato, il vostro rapporto con i giovani, il loro atteggiamento, la loro preparazione?

Liliana Segre: Mi ricordo quando ho cominciato a testimoniare 15 anni fa.
Gli insegnanti attenti e sensibili all’argomento Shoah erano pochi, la maggioranza era indifferente, addirittura a volte infastidita, molti di loro non volevano esporsi nei confronti di presidi e colleghi.
Lo svolgimento dei programma scolastico di storia si fermava prima della II Guerra Mondiale.
Eppure i professori erano (e sono) determinanti. Cominciai ad incontrare studenti di tutti gli ordini di studi.
A volte uscivo commossa e contenta sia per l’attenzione dei ragazzi sia per l’affettuosa accoglienza degli insegnanti, a volte uscivo delusa e triste e sempre più convinta dell’importanza della preparazione scolastica.
Per merito del Ministro Berlinguer nel 1996 si cominciò a privilegiare lo studio del 900.
Con l’istituzione poi del Giorno della Memoria fiorirono un’infinità di iniziative per parlare di Shoah (convegni, conferenze, dibattiti, fiction…) rischiando addirittura una banalizzazione dell’argomento.
Da più parti però noi testimoni ci sentiamo ripetere che, in questo zapping mediatico più o meno sostenibile, l’incontro con chi la Shoah l’ha vissuta resta fondamentale per i giovani, assetati di verità.

Goti Bauer: Io credo che non si possa generalizzare, perché l’attenzione e la sensibilità dei ragazzi dipende dalla preparazione che gli insegnanti hanno saputo dare e prima di tutto dalla sensibilità stessa degli insegnanti che hanno fatto in modo che questo diventasse un argomento primario nelle scuole.
Questo per esempio succede da molti anni a Milano nel Liceo Vittorini, per merito delle professoresse Gennaro e Brunetta, e anche in altre scuole; sono stata al Liceo Casiraghi di Sesto San Giovanni, dove sono già stata varie volte, c’erano centinaia di ragazzi preparati e attenti, grazie alla loro straordinaria insegnante che si impegna a trasmettere la memoria.
Qualche volta abbiamo invece delle delusioni, là dove la nostra richiesta di preparare i ragazzi all’incontro, di far vedere loro dei documentari, di far leggere qualche cosa, è stata disattesa, ci accorgiamo subito, dall’attenzione, dalle domande, che questo lavoro non c’è stato.
Anche i presidi sono molto importanti in questo senso, perché scelgono di dare spazio a manifestazioni e iniziative; molte scuole organizzano pellegrinaggi ad Auschwitz, e i ragazzi sono accompagnati da insegnanti, esperti e anche da qualche genitore. Così la conoscenza si allarga anche alle famiglie.

E’ capitato che le domande dei ragazzi esulassero dal tema della Shoah e riguardassero piuttosto Israele o il conflitto mediorientale?

Goti Bauer: A volte i ragazzi fanno domande di questo tipo in buona fede, anche se non c’entra con l’argomento, ma quando gli incontri si svolgono in strutture aperte al pubblico, come nei teatri, è capitato si infiltrasse qualche provocatore. Si creano situazioni di imbarazzo, ma non per colpa degli studenti.

Con i giovani si instaura un rapporto che prosegue oltre l’incontro, un interesse che continua nel tempo?

Liliana Segre: I ragazzi ci scrivono dopo averci ascoltato e dalle loro parole traspare la consapevolezza di aver partecipato ad un’esperienza unica. Negli anni sono cambiate le loro domande.
La realtà che ci circonda, rimandata dalla televisione, ci mostra violenze, saluti romani, striscioni antisemiti, proclami di demonizzazione di Israele e degli Ebrei.
E’ anche per questo che noi, pochissimi sopravvissuti ancora in vita, pur con la nostra stanchezza, continuiamo la nostra testimonianza come messaggio di speranza, di libertà, di pace per le giovani generazioni.

Goti Bauer: Capita frequentemente che i ragazzi mantengano un ricordo vivo dell’incontro con il testimone, per cui non soltanto scrivono, ma se ci si incontra per caso, cercano il contatto e uno scambio di parole. Mi è capitato che ragazzi che mi avevano ascoltato nella loro scuola anni fa, siano tornati in successivi incontri all’università o in manifestazioni pubbliche e abbiano voluto ricordare quelle occasioni speciali che avevano evidentemente colpito i giovani. All’università Cattolica di Milano, ad esempio, grazie a docenti come Sidoli, Vico, Santerini, c’è non solo una preparazione sulla Shoah, ma anche una predisposizione all’incontro e allora si crea una vera comunicazione.
Questi episodi sono di grande conforto perché danno un senso alla nostra testimonianza: a volte, mi creda, ne parliamo spesso con Liliana, sentiamo un grande disagio nel ripetere le stesse cose. La frequente ripetizione a me sembra, addirittura, una profanazione della memoria. Questo ricordo, questa tragedia, è sacra: nel ripeterla frequentemente ai miei occhi sembra di sminuirne il valore. E a volte sembra che ci sia una saturazione intorno al tema. Allora si va qualche volta forzatamente, malvolentieri. Ma sei giovani dimostrano di comprendere, allora sappiamo che ne valeva la pena.

Con quali sentimenti chi ha vissuto la Shoah ascolta le parole del leader iraniano Ahmadinejad, che ne mette in discussione la verità?

Goti Bauer: Una delle mie grandi angosce è quella che la memoria svanisca. I revisionisti, i negazionisti, hanno sempre più spazio, più soldi, più occasioni di diffondere le loro tesi. Se ci sarà ignoranza, è chiaro che prima o poi il loro punto di vista sarà sempre più ascoltato. E’ quindi l’ignoranza che va combattuta in ogni modo. Sono due in fondo i motivi che mi spingono a continuare la testimonianza: far riflettere i ragazzi sulle conseguenze del pregiudizio e della intolleranza e poi “passare il testimone”. Quando noi fatalmente non ci saremo più, qualcuno che avrà ascoltato dalla nostra viva voce potrà a sua volta raccontare ciò che è stato. Si dice che chi ascolta un testimone, diventa testimone a sua volta; è quello che dico sempre ai ragazzi che incontro, e tra le centinaia spero che qualcuno si assuma davvero questo impegno. Detto ciò, spero che le parole di Ahmadinejad non abbiano un seguito; anche se sappiamo che nel mondo arabo e musulmano sono diffusi i Protocolli di Sion, le calunnie di omicidio rituale e gravi pregiudizi antiebraici.