di Paolo Castellano
Era stato, per anni, considerato un Testimone della Shoah; un chimico, un uomo di scienza quindi, “prestato” alla scrittura solo in virtù della sua tragica esperienza nel lager. Ma è ormai riconosciuto, urbi et orbi, che la qualità letteraria di Primo Levi è “assoluta”, va cioè oltre il suo valore come testimonianza. Il 18 novembre, nell’ambito di Book City, presso la sala Buzzati della Fondazione del Corriere della Sera si sono svolti due incontri dedicati a Primo Levi che hanno rimarcato questa nuova prospettiva della critica letteraria. Durante il primo evento è stato proiettato Trent’anni dopo. Primo Levi e le sue storie, un docu-film realizzato da Sky Arte: numerose testimonianze (fotografie, interviste, contributi di critica letteraria) hanno cercato di restituire allo spettatore gli anni più importanti e drammatici di Levi. Sono state raccolte interviste a esperti e personalità del mondo della cultura: Stefano Levi Della Torre, il genetista Alberto Piazza, Marco Belpoliti e poi gli attori Sonia Bergamasco, Gioele Dix e Fabrizio Gifuni.
Dopo la proiezione, è stata la volta del dibattito dedicato al numero della rivista Riga incentrata su Primo Levi. Alla conversazione hanno partecipato Marco Belpoliti, Mario Barenghi, Mario Porro e Robert Gordon. La figura di Levi è stata rimessa in discussione grazie ad alcuni studiosi che nel 1997 elaborarono diversi saggi su Primo Levi non più solo “testimone”, ma vero scrittore.
Mario Barenghi ha detto che «questa celebrazione dei 30 anni dalla sua scomparsa, non solo lo consacra come grande scrittore italiano ma anche come un classico del ‘900». Barenghi ha sottolineato che in passato Levi è stata una figura latente nel dibattito culturale italiano. «Oggi Primo Levi è un interlocutore che ben risponde alle nostre domande e che continua a porcene di nuove. La fase di Levi come testimone sembra allora essere passata. Oggi abbiamo un’immagine più complessa dello scrittore torinese». Barenghi ha poi enumerato le qualità che emergono dagli studi letterari su Levi: «Gli aspetti sono tre. Per prima cosa, Levi ha saputo creare una convergenza tra cultura umanistica e scientifica; in secondo luogo ha rivitalizzato il rapporto con la nostra eredità culturale. Infine, nei suoi scritti, ha fatto un uso alternativo della nostra lingua».
Mario Porro, autore del saggio Primo Levi (Il Mulino), ha invece cominciato il suo intervento citando una figura retorica concepita dal filosofo francese Michel Serres. «“Passaggio a Nord-Ovest” è una metafora marinara che rappresenta il transito delle due antiche culture, ovvero quella scientifica e umanistica». La transizione e dunque la saldatura dei due saperi, ha spiegato Porro, è un aspetto peculiare del lavoro culturale di Primo Levi. «Tale interpretazione non è solo accademica. Pensiamo ad esempio al titolo del primo libro di Levi, Se questo è un uomo. Un quesito che si sofferma sia sull’aspetto scientifico sia etico dell’essere umano». Levi ha intuito l’importanza di unificare l’efficacia della tecnica alla compassione e al senso di relazionarsi con i propri simili.
Nella parte finale del suo intervento, Porro ha poi insistito sulla laicità di Primo Levi che concepiva l’uomo “come un contenitore”, non dell’anima ma di saperi, smarcandosi in questo modo dalla tradizione religiosa. «Primo Levi è uno scrittore tardo positivista, come Carlo Emilio Gadda. Ha portato alla luce una nuova letteratura come luogo in cui si incrociano i saperi», ha argomentato Porro, spiegando che Levi ha cercato di costruire un’enciclopedia per frammenti attraverso i suoi libri. «Il Sistema periodico ha una rilevanza didattica perché vuole mostrarci come lavora un ricercatore. Levi ci mostra la procedura scientifica popperiana che è basata su ipotesi, congetture, sperimentazioni e confutazioni».
Infine, l’intervento di Robert Gordon ha confermato l’interesse degli inglesi per Primo Levi. «Nel mondo, è studiato per il suo stile innovativo. Questo è avvenuto grazie agli studi del 1997, in cui una nuova generazione di critici letterari ha gettato nuova luce sulle opere dello scrittore».
I libri di Levi sono incentrati sull’ibridazione dei saperi. E come scrisse egli stesso: «L’ibridazione vuol dire costruire ponti, perché i ponti sono il contrario delle frontiere. Le frontiere, è lì dove nascono le guerre».