di Nathan Greppi
Serata interessante quella di mercoledì 10 gennaio, alla Libreria Verso, dove è stato presentato Grandangolo, romanzo d’esordio del giovane giornalista torinese Simone Somekh, recensito sul Bollettino a dicembre da Ugo Volli. (Simone Somekh, Grandangolo, Giuntina, pp. 192, euro 15,00)
Nell’introdurre l’argomento, il critico letterario Alessandro Beretta si è dichiarato contento di aver recensito il libro, poiché secondo lui Somekh è molto diverso da altri giovani scrittori italiani: “quando mi è stato sottoposto un esordiente ero contento, poiché non capita tanto spesso. Sono rimasto stupito per il ritmo, e per la sua capacità di costruire una storia.” Parlando dello stile, ha aggiunto che “vi è quasi un’architettura del rapporto tra Ezra (Kramer, il protagonista) e Carmi Taub (giovane adottato dalla famiglia di Ezra, con un segreto da nascondere).” La storia è ambientata all’interno di una comunità ultraortodossa di Boston, dalle cui rigide regole il protagonista vorrebbe emanciparsi.
Subito dopo, Somekh ha letto l’introduzione del libro, il “capitolo 0”, dopodiché Beretta ha fatto notare che già nella prima pagina abbiamo tanti personaggi, e viene messo in chiaro il carattere combina-guai del giovane Ezra. “Ezra nasce e cresce in questa comunità perché glielo impongono i suoi genitori,” ha dichiarato l’autore. “Tutto il romanzo si basa sulla scoperta di sé stesso; nella 1° stesura l’avevo reso più antipatico, più realistico, volevo creare un anti-eroe, ma poi mi sono chiesto ‘Cosa stai facendo?’”
Beretta gli ha chiesto come si è documentato sull’ebraismo ortodosso e a cosa si è ispirato per il personaggio di Carmi, dato che non sapeva si potessero adottare così i figli in una comunità ortodossa. Somekh ha risposto di essersi ispirato a un fatto che ha visto anni fa a Londra, quando era ospite di una famiglia religiosa. “Emerge subito un collettivismo molto bello,” ha spiegato Somekh nel descrivere la situazione, “ma con molti problemi.” Ha aggiunto che nel momento in cui Carmi va a vivere a casa Kramer, “porta una ventata di novità, ed Ezra, che non ha fratelli, finalmente ha un alleato in casa. Ho cercato di immedesimarmi in entrambi i personaggi, cercando di creare un’intimità, ispirandomi a una scrittrice che amo molto, Banana Yoshimoto.”
Concentrandosi sul protagonista, Somekh ha detto che “Ancor prima di pensare ad Ezra ho pensato alla sua macchina fotografica, ho incastrato un ragazzo in una comunità dove quella macchina può portare guai. L’ho trovato intrigante.” A tal proposito, Beretta ha chiesto quanto può esserci di autobiografico: Somekh ha risposto che, come per il caso di Carmi, si è ispirato a tante storie che ha visto o sentito da persone che conosce, “se è un’autobiografia è l’autobiografia di tutti. Sono un giornalista, e devo attenermi ai fatti.” Ha aggiunto che, dato che come giornalista scrive in inglese (ha collaborato con The Forward e The Times of Israel, solo per citarne alcuni), per lui scrivere la sera in italiano è una liberazione.
Confrontandolo con altri autori italiani giovani, Beretta ha esclamato “finalmente ho incontrato un personaggio che crede in sé stesso; altri spesso si dicono ‘non ce la farò mai’.” A tal proposito, gli ha chiesto cosa gli piace leggere: “L’ho scritto a 21 anni, a quel tempo leggevo molto la Yoshimoto, oltre naturalmente a letteratura ebraica: in particolare, oltre a Chaim Potok, mi ha ispirato molto La Famiglia Karnowsky (di Israel J. Singer). È un libro internazionale, forse a causa del mio percorso: ho vissuto 2 anni a Tel Aviv, ora a New York, e prima anche a Boston. Oggi molti hanno la possibilità di viaggiare all’estero, e questo secondo me può essere solo un arricchimento.”Un altro tema molto trattato nel romanzo, di cui si è parlato, è quello dell’omosessualità nel mondo ortodosso: “Ho sempre sentito un interesse per i diritti umani, e ho sentito di molti ragazzi che uscivano dalle loro comunità perché la loro omosessualità non veniva riconosciuta.” Per concludere, Somekh ha parlato di cos’è per lui l’identità ebraica: “È come un tatuaggio: puoi cambiare nome, città, ma l’identità ebraica resta sempre.”