di Roberto Zadik
Sta facendo molto discutere una nuova legge approvata lo scorso 31 gennaio dal Senato polacco, capeggiato dal partito conservatore Diritto e Giustizia. La legge discolpa la Polonia da ogni responsabilità riguardo alla Shoah e prevede tre anni di carcere per chiunque – anche un cittadino straniero – chiami “polacchi” i lager nazisti dove fu perpetrato lo Sterminio.
«Che la Shoah sia stata progettata e realizzata dai nazisti è una verità indiscutibile – ha detto in una intervista al Corriere della Sera lo storico Marcello Pezzetti, direttore del Museo della Shoah di Roma -. Ma trasformare in reato un’espressione storicamente infondata come “campi polacchi” è inaccettabile. Una manovra che rivela la volontà di prendere le distanze dal passato annullandolo, una fuga». «L’intero complesso di Auschwitz – continua Pezzetti – fu istituito quando il territorio era già stato annesso al Terzo Reich: quindi non solo amministrato nell’ambito del Governatorato generale, ma a tutti gli effetti “Germania”».
Nonostante ciò, nel Paese si sono consumati un gran numero di massacri antisemiti sia nei lager, fra tutti Auschwitz, sia molto prima e anche dopo la fine della guerra. È il caso del pogrom di Kielce, il 4 luglio del 1946, dove dei 200 ebrei sopravvissuti alla Shoah, tornati alle proprie case, ne furono massacrati 46 e 80 feriti, dai “vicini di casa” polacchi. E pensare che nel 1939 gli ebrei di Kielce erano 24mila…
«Tra i polacchi ci furono i delatori, che taglieggiavano gli ebrei e li vendevano ai nazisti – spiega ancora Pezzetti – Ma anche i Giusti, come Irena Sendler che salvò centinaia di bambini del ghetto di Varsavia. Ricordiamo che in Polonia chiunque aiutasse un ebreo era messo a morte con l’intera famiglia. E i polacchi non lavoravano nei campi: tra le guardie c’erano polacchi-tedeschi, assimilabili ai tedeschi, e ucraini». Non è giusto, quindi accusare una intera popolazione di collaborazionismo e complicità con il regime nazista. La popolazione polacca, però, ha sempre considerato il cattolicesimo come un elemento fondante della identità nazionale, e quindi gli ebrei sono stati relegati al ruolo di una “nazione nella Nazione”, separati, esclusi da molti incarichi pubblici: «Per questo, quando cominciano i rastrellamenti, gli ebrei formano già un blocco separato, facilmente identificabile».
In Israele si sta scatenando una tempesta di critiche e di indignazione su questo provvedimento del Senato di Varsavia.
Secondo Ynet, il mondo politico israeliano e i sopravvissuti alla Shoah si sarebbero uniti in un coro di proteste contro questa misura governativa polacca, giudicata da molti contraria a qualsiasi etica e buon senso e totalmente anti-storica. A questo proposito il Ministero degli Esteri israeliano ha sottolineato che “nessuna legge potrà cambiare l’andamento dei fatti”, ribadendo che si tratta di un provvedimento negazionista. D’accordo tutta una fitta schiera di politici, ministri della Knesset e sopravvissuti alla Shoah che hanno duramente criticato un provvedimento che nega qualunque collaborazione polacca con i nazisti e ogni responsabilità dei polacchi durante la Seconda Guerra Mondiale.
Yoav Galant, Ministro delle Costruzioni del Governo Nethanyahu, ha aspramente condannato su Twitter la legge descrivendola come “profondamente negazionista” e lo stesso ha detto Yisrael Katz, Ministro dei Trasporti del Likud, che ha accusato i legislatori polacchi invitando Nethanyahu a contattare immediatamente l’ambasciatore israeliano in Polonia per consultazioni urgenti. Decisi a continuare la memoria delle vittime della Shoah a prescindere da qualsiasi altra considerazione, i politici israeliani si sono unanimamente opposti alla decisione del Senato polacco e del presidente Andrej Duda che «sarebbe lesiva di qualunque verità storica». La legge, a detta dei politici israeliani, nega la responsabilità «della morte dei tre milioni di ebrei polacchi che furono sistematicamente perseguitati, schedati e quasi totalmente eliminati nella collaborazione del Paese col nazismo».
Proprio questa collaborazione sarebbe oggetto della contestazione da parte di Andrej Duda e del Senato polacco, che insistono nel difendere il Paese «dalla continua ondata di attacchi e di insulti» negando «qualunque partecipazione istituzionale della Polonia e del suo popolo al massacro degli ebrei». Si tratterebbe dunque di un vero e proprio scontro fra Polonia e Israele, fra chi nega la storia e chi cerca di salvaguardare la Memoria.
Da una parte ci sono le autorità polacche, come il Deputato per la Giustizia, Patryk Jaki che ha detto «dobbiamo mandare un chiaro segnale al mondo che non permetteremo che la Polonia continui a essere oltraggiata» e dall’altra non solo i politici israeliani ma anche i sopravvissuti agli orrori della Shoah che hanno confermato la brutalità e la violenza subita in Polonia dai loro vicini, zelanti collaboratori dei nazisti.
Halina Birenbaum, acclamata scrittrice israeliana e sopravvissuta alla Shoah, ha definito la nuova legge una “follia”, parlando alla Radio dell’Esercito Israeliano: «Un atto abominevole e sproporzionato a quanto successe agli ebrei in Polonia». In un’altra intervista, ha sottolineato come questo provvedimento sia «dittatoriale e preveda tre anni di prigione per chi parli di lager polacchi». Secondo la sopravvissuta «i polacchi ebbero enormi responsabilità nella Shoah e spesso informavano i nazisti di chi fossero gli ebrei ed erano capaci di identificarli dall’aspetto mentre i tedeschi a volte non capivano chi fosse o meno ebreo. Mi ricordo bene di quegli anni – ha detto la Birenbaum – sono nata a Varsavia, nel Ghetto; dai 10 ai 15 anni ero dappertutto, sotto i bombardamenti e nelle nostre case bruciate, e poi quando iniziarono le deportazioni verso il lager di Treblinka. È una legge spaventosa, che rappresenta una totale mancanza di sensibilità per la nostra tragedia e ci sono migliaia di persone di cui non c’è più traccia». La sopravvissuta ha aggiunto che «nonostante tanti nascosero gli ebrei, noi avevamo paura dei nostri vicini e vivevamo nel terrore». In quella situazione, ha raccontato che anche «alcuni ebrei si comportarono molto male, come quelli della polizia ebraica che diedero il permesso per le deportazioni aiutati con buona volontà dai polacchi. Ci sono fatti storici e numerosi libri che provano questi fatti e una legge non può negarli».
A queste proteste si è associato anche lo Yad Vashem di Gerusalemme che ha rilasciato una nota su questa legge: «È scandaloso che nonostante tutte le proteste e i problemi nell’emanazione di questo provvedimento, la Polonia abbia deciso la sua approvazione». Nonostante questo però il Centro per il Ricordo della Shoah ha enfatizzato l’importanza «di combattere queste gravi falsificazioni storiche, non tanto criminalizzandole ma rafforzando le attività educative e sostenendo la ricerca sui rapporti fra ebrei e polacchi durante la Shoah».
Altri sopravvissuti hanno aggiunto che «alcuni polacchi rischiarono la vita per salvare gli ebrei malgrado la cooperazione della popolazione locale coi nazisti fosse indiscutibile». Su questo tema è intervenuta anche Lilly Haber, un’altra sopravvissuta che oggi è a capo del Forum per gli Immigrati Polacchi e Membro del Presidio del Comitato Internazionale di Auschwitz. Come la Birenbaum, anche la Haber ha insistito su una grande responsabilità della maggioranza dei polacchi. «Malgrado ci siano 6.500 Giusti fra le Nazioni in Polonia, cosa possiamo dire delle decine di milioni di polacchi che assistettero inerti o parteciparono zelantemente ai massacri di ebrei? Agirono per ottenere quanto i tedeschi volevano, la distruzione ebraica e furono collaboratori della loro Soluzione Finale». In conclusione ha affermato «i polacchi non furono solo complici ma autonomi persecutori di ebrei senza bisogno di ordini da Berlino».
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