Martin Boehm: «Vogliamo fare chiarezza e restituire le opere d’arte ai legittimi eredi»

Arte

di Daniele Liberanome

Dorotheum. La casa d’aste viennese fu complice  del nazismo nella “arianizzazione” delle grandi collezioni d’arte appartenute a famiglie ebraiche austriache. Anche dopo la guerra, non collaborò al recupero delle opere né a fare giustizia. Solo ora, con la nuova proprietà, le cose sono cambiate

 

Trasformare la Dorotheum di Vienna, da casa d’aste nonché strumento del regime nazista durante la Shoah, a entità vicina alla Comunità ebraica austriaca con un ufficio di rappresentanza a Tel Aviv – non è poca cosa. E molto lo si deve a Martin Boehm, rampollo di una famiglia di imprenditori tessili, che nel 2002 ne è diventato amministratore delegato dopo averla rilevata dallo Stato insieme a una cordata di investitori. Da allora ha ottenuto risultati ragguardevoli, guardando al futuro, ma senza dimenticare il passato. Non ha avuto peli sulla lingua a parlarmi della casa d’asta ai tempi della Shoah, quando l’ho incontrato nel bel palazzo-sede dell’azienda – inaugurato da Francesco Giuseppe.

Dorotheum ha svolto un ruolo importante nella vendita di opere d’arte sottratte dai nazisti ai proprietari ebrei…
Al tempo dei nazisti, posizioni chiave nella gerarchia di «Dorotheum vennero effettivamente affidate a sostenitori del regime. La struttura venne utilizzata per vendere all’asta proprietà “arianizzate” e anche se Dorotheum non venne coinvolta direttamente nelle confische, ne beneficiò ampiamente agendo come intermediario commerciale per la vendita di opere affidatele da vari uffici amministrativi come la Gestapo, la dogana e le autorità finanziarie della città di Vienna. Del resto, la comunità ebraica della città era composta per gran parte da collezionisti e amanti d’arte che svolsero un ruolo centrale nella vita culturale del tempo».

Sembra che Dorotheum non abbia aiutato nel recupero delle proprietà confiscate dai nazisti agli ebrei, prima che venisse venduta a investitori privati e che lei venisse nominato amministratore delegato. È corretto? E quale politica ha adottato a questo proposito da quando è entrato in carica?
«Quando Dorotheum è stata privatizzata nel 2001, il nuovo management si è fortemente impegnato a entrare nel merito delle attività di Dorotheum durante il periodo nazista, facendo di questo uno degli elementi cardine della gestione operativa. Innanzitutto, a seguito della privatizzazione di Dorotheum , l’ÖIAG – l’agenzia di investimento e di privatizzazione della Repubblica austriaca – come ex proprietario della casa d’aste versò 32 milioni di dollari nel General Settlement Fund for Victims of National Socialism con sede a Vienna, come compenso per la collaborazione data da istituzioni austriache al regime nazista nelle persecuzioni antiebraiche. Nel 2006 ha visto la luce un rapporto di esperti storici indipendenti (Lütgenau, Schröck, Niederacher, “Zwischen Staat und Wirtschaft. Das Dorotheum im Nationalsozialismus”, Oldenbourg editore, 2006) sulla storia di Dorotheum dal 1938 al 1945.
Abbiamo poi consegnato tutto l’archivio storico aziendale all’Archivio di Stato austriaco per renderlo disponibile a tutti gli interessati. La nuova proprietà ha poi deciso di istituire nel 2003 un dipartimento di ricerca sulla provenienza delle opere, un passo rivoluzionario nell’Europa centrale e unico del genere fra tutte le case d’asta nell’Europa continentale».
Come a dire che moltissimo dipende dalle iniziative dei singoli, e che molto resta da fare. E i risultati pratici dipendono non poco dal modo in cui le dichiarazioni del management vengono tradotti in passi operativi. E quindi Boehm, passa la parola a Felicitas Thurn, che per suo conto dirige l’ufficio di ricerca sulla provenienza delle opere.

Come operativamente accertate la provenienza delle opere d’arte che potrebbero essere state confiscate dai nazisti?
«Innanzitutto pubblicizziamo ampiamente a livello internazionale le opere che mettiamo in asta attraverso i cataloghi oppure online, e quindi i potenziali interessati hanno una buona opportunità di identificare le opere che ritengono possano essere state frutto di furto o confisca. Abbiamo poi introdotto un programma di due diligence (è il corretto comportamento, nel gergo legale, ndr), per evitare vendite involontarie di arte rubata da parte di Dorotheum. Il primo passo è identificare una provenienza problematica nelle opere che ci vengono consegnate per l’asta. Esaminiamo le informazioni a diposizione, ponendo attenzione a lacune, a nomi sensibili o date di vendita, a segni sull’oggetto stesso. Poi eseguiamo un controllo attraverso fonti specializzate e database su arte rubata dai nazisti, come lost art.de; il database dell’ERR; il database MNR della Francia, gli elenchi delle collezioni di Hitler e Göring disponibili presso il DHM, Berlino, il database Getty provenance, i dati riguardanti le vittime di procedimenti anti-ebraici negli archivi pubblici austriaci e molti altri. In particolare collaboriamo strettamente con all’Art Loss Register, il più grande database privato al mondo di arte persa e rubata, che analizza tutte le opere in catalogo.
Agiamo anche autonomamente nel raccogliere informazioni su collezioni pubbliche e private dell’anteguerra, sui singoli oggetti saccheggiati e sulle persone interessate (vittime, nazisti, collaboratori), che vengono aggiunti alla “lista bandiera rossa”, una lista di migliaia di persone coinvolte nel bottino artistico. Siamo anche grati alla Comunità ebraica di Vienna per la collaborazione che ci offre sulle questioni di provenienza. Oltre a condividere informazioni su opere d’arte e persone coinvolte nel bottino d’arte da entrambe le parti, abbiamo creato un database sulle vendite d’arte in Austria 1938-1945 (anche in collaborazione con il Museum of Applied Arts di Vienna) e un altro database sulle vendite forzate di oro, argento e perle».

E una volta individuata un’opera rubata dai nazisti, che cosa fate? Come procedete?
«Una volta che un’opera viene definita come “bottino artistico di guerra”, effettuiamo ulteriori ricerche per raccogliere tutte le informazioni storiche sulle circostanze specifiche del caso. L’oggetto viene ritirato dalla vendita, discutiamo la situazione con il mittente e salvaguardiamo il lavoro fino a quando non si raggiunge una soluzione soddisfacente o fino a quando la provenienza contaminata non viene cancellata. Non essendo noi i proprietari delle opere e agendo come intermediari tra le parti, cerchiamo di risolvere le richieste in modo pragmatico e stragiudiziale. Incoraggiamo il titolare di un’opera a entrare in dialogo con l’ex proprietario o i suoi eredi e serviamo da facilitatori in questa discussione. È necessario un approccio prudente e il principio delle soluzioni “giuste e giuste” deve anche considerare la situazione del possessore in buona fede. Questo vale anche per il diritto alla privacy per tutte le parti».

Può farci un esempio pratico?
«Abbiamo identificato il dipinto “Blick über die Dächer auf St. Stephan / Wien” di Luigi Kasimir (olio / tela 100×74 cm) come parte della collezione del dentista Dr. Heinrich Rieger, che nel 1935 aveva raccolto una collezione di 750 opere di artisti contemporanei, tra cui importanti opere di Egon Schiele. Come parte della nostra procedura di due diligence, abbiamo controllato il retro del lavoro, che portava un francobollo dal “Künstlerhaus” di Vienna. Con il numero e l’anno, abbiamo potuto identificare attraverso l’archivio del “Künstlerhaus” che il signor Rieger era proprietario dell’opera nel 1935. Essendo di origine ebraica, fu costretto a vendere, dal 1938 in poi, molte opere decisamente al di sotto del valore di mercato.
Tuttora non è noto dove si trovi la maggior parte della sua collezione. Friedrich Welz e Luigi Kasimir erano tra gli “amici” di Rieger, che “aiutarono” lui e sua moglie Bertha a mantenersi a Vienna fino alla loro deportazione a Theresienstadt nel 1942.
Ma sia Welz che Kasimir erano ferventi nazisti, avevano personalmente “arianizzato” gallerie d’arte ebraiche e entrambi acquistarono numerosi lavori della collezione di Rieger a prezzi incredibilmente bassi. Grazie al materiale contenuto negli archivi della Commission for Provenance Research di Vienna, abbiamo appreso che il dipinto consegnato a Dorotheum è stato sequestrato nello studio di Luigi Kasimir nel 1947 insieme ad altre opere della collezione Rieger e che Kasimir dovette affrontare un processo per tradimento. Per non affrontare le accuse, Kasimir riconobbe che i dipinti appartenevano giustamente agli eredi di Heinrich e Bertha Rieger, entrambi periti nei campi di concentramento nazisti. La restituzione agli eredi legittimi e l’esportazione negli Stati Uniti seguirono, ma il dipinto la cui provenienza era in dubbio rimase dall’avvocato di Kasimir e presso la sua famiglia a Vienna. Andava quindi considerata come opera d’arte non restituita alle vittime del nazismo e Dorotheum non l’avrebbe inclusa in una vendita senza il consenso degli eredi di Rieger. Il venditore dell’opera ha risposto positivamente alle richieste della famiglia Rieger, ha trovato un accordo, il dipinto è stato venduto nel novembre 2011 e i proventi sono stati divisi».

Nell’Austria in cui spirano venti politici non tranquillizzanti, questa è una boccata di aria fresca.