Qual è la differenza tra antisemitismo e antigiudaismo? Risponde, con un tour de force accademico, lo storico americano David Nirenberg. L’antisemitismo ha bisogno di ebrei reali da perseguitare; l’antigiudaismo può prosperare perfettamente senza di loro, poiché il suo obiettivo non è un gruppo di persone ma un’idea. Il brano sopra riportato è tratto dalla “Rivista di Storia del Cristianesimo” pubblicata dalla casa editrice Morcelliana (www.morcelliana www.morcelliana.net/3010-
Il volume di David Niremberg, L’Antigiudaismo. La tradizione occidentale, Viella Roma 2016 (ed. or. 2013) insiste sull’«idea che l’antigiudaismo non deve essere inteso come un ripostiglio arcaico e irrazionale nel vasto edificio del pensiero occidentale: di fatto è uno degli strumenti fondamentali con cui quell’edificio è stato costruito» (p. 15). L’antigiudaismo è insomma una delle fondamenta del pensiero occidentale, anzi si può parlare di «antigiudaismo del pensiero». Esso è una potente struttura teorica per dare senso al mondo, per capire e spiegare il mondo (p. 333), e serve – egli sostiene – a renderci consapevoli di come i concetti del passato vincolino e condizionino il nostro pensiero di oggi. In questa definizione sta la novità dell’interpretazione proposta, ma anche il suo limite, dato che la storia dell’ostilità anti-ebraica e i suoi più tradizionali paradigmi – pregiudizio, discriminazione e persecuzione – vengono esaminati al di là dei contesti sociali di riferimento.
Gli ebrei in carne e ossa, cioè, non sono l’oggetto del libro, sono fantasmi, la cui presenza aleggia nell’analisi, ma viene intenzionalmente trascurata. Quello che interessa l’autore è fare una storia delle idee e del loro potere di determinare percezioni e azioni. Come dimostra perfettamente il caso dell’Inghilterra di Shakespeare – in cui non esistevano ebrei, almeno in linea di principio –, il pensiero cristiano genera l’antigiudaismo senza bisogno di ebrei reali, concreti. Quel che conta è la funzione cruciale svolta dall’antigiudaismo nella cultura cristiana occidentale. Poco o nulla però ci è detto delle ragioni per cui sono escluse dall’analisi le culture orientali.
L’antigiudaismo, un pilastro secolare
La proposta di interpretazione di Niremberg si dipana lungo una durata storica di tremila anni che giunge fino alla Shoah. Certo questa durata non significa che le idee restino immutabili ed eterne, prive di trasformazioni. E infatti tutto il volume si fonda sull’analisi accuratissima e informatissima della trasformazione nel tempo di questo strumento base del pensiero occidentale. Sono esaminate le idee degli intellettuali e dei teologi. Nulla però ci viene detto su quello che forse è l’elemento portante delle manifestazioni concrete antiebraiche: come le idee fossero assorbite e fatte proprie,vale a dire la mentalità della gente comune, quella delle persone “normali” che concretamente operarono per l’applicazione dell’antiebraismo nella discriminazione e nella persecuzione.
Dunque, l’antigiudaismo resta un pilastro secolare, anzi millenario che sembra rientrare nell’antropologia dell’uomo occidentale come un dato fisso, innato, eterno e come tale condizionante e difficilmente superabile. In ogni modo non ci viene detto perché proprio l’antigiudaismo abbia svolto questo ruolo di pilastro del pensiero occidentale, al di là della tautologia per cui tutta la tradizione occidentale è stata antiebraica.
È solo un dato irrazionale, privo di ragione, come ha sostenuto Hannah Arendt? O è servito per riaffermare la propria identità per via di differenziazione ? Ma quest’ultima spiegazione è estendibile a ogni rapporto con l’alterità. L’alterità ebraica è diversa dalle altre? Insomma, perché gli ebrei? Mi pare siano domande che restano ancora aperte.
CHI È MARINA CAFFIERO
È professore ordinario di Storia Moderna, all’Università di Roma “La Sapienza”. La sua ricerca si è svolta soprattutto nel campo degli studi di storia religiosa e culturale in Italia e in Europa tra XVI e XIX secolo, con specifica attenzione alla storia dei rapporti con le minoranze religiose (ebrei e musulmani). Ha pubblicato Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, Viella, 2004, tradotto e pubblicato negli USA (California University Press, 2011) e in corso di pubblicazione in Francia (Honoré Champion, 2017). Nel 2008 è uscito il volume Rubare le anime. Diario di Anna del Monte ebrea romana, Viella e nel 2009 il volume su Le radici storiche dell’antisemitismo. Nuove fonti e ricerche, Viella. Gli ultimi libri sono: Legami pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia, libri proibiti e stregoneria, Einaudi, 2012, ristampato nel 2013 (in corso di traduzione in USA), e Storia degli ebrei nell’Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione, Carocci, 2014 e ristampa 2015. Questo volume ha vinto il premio Benedetto Croce-Pescasseroli 2015 per la saggistica.
Dirige la serie “Religioni frontiere contaminazioni” pubblicata da Edizioni di Storia e Letteratura e la Collana “Alterità” per la New Digital Press di Palermo. Ha fondato un Corso di Alta Formazione in storia ebraica nel Dipartimento di Storia Culture Religioni.
CHI È DAVID NIRENBERG
È professore di storia medievale e pensiero sociale all’Università di Chicago. Ha pubblicato per Viella Editore, l’importante saggio Antigiudaismo – La tradizione occidentale. Tra le sue opere principali: Communities of Violence: Persecution of Minorities in the Middle Ages (1996); Judaism and Christian Art: Aesthetic Anxieties from the Catacombs to Colonialism (con Herbert Kessler, 2011); Neighboring Faiths: Christianity, Islam, and Judaism in the Middle Ages and Today (2014).
(Nella foto, Il mercante di Venezia. Fonte: Charles and Mary Lamb, Tales from Shakespeare (Philadelphia: Henry Altemus Company, 1901)