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Facebook rimuove contenuti antisemiti e anti-israeliani. Scatta l’ira degli attivisti palestinesi

Mondo

di Paolo Castellano
Un gruppo di giornalisti e attivisti palestinesi stanno protestando contro Facebook, dopo che il colosso dei social network ha deciso di rimuovere numerose pagine che glorificavano il terrorismo. Il 19 febbraio i contestatori palestinesi hanno inoltre firmato e lanciato un appello a Mark Zuckerberg per il rispetto della libertà di parola.

«Facebook sta intraprendendo una guerra contro i palestinesi», hanno lamentato gli attivisti e i giornalisti palestinesi che stanno intraprendendo una campagna di protesta su Twitter con l’hashtag #FbfightsPalestine, riporta un articolo del Times of Israel.

Secondo i palestinesi, la stretta di Facebook sui contenuti violenti sarebbe stata causata dall’uccisione di Ahmed Jarrar, un terrorista di Hamas che faceva parte del gruppo di attentatori che hanno ucciso il rabbino Raziel Shevach. Le forze israeliane di sicurezza hanno neutralizzato Jarrar durante una sparatoria che è avvenuta il 6 febbraio presso il villaggio di Al Yamoun, località vicina a Jenin.

Dopo questo episodio, sostengono gli utenti palestinesi, Facebook ha sospeso temporaneamente o rimosso completamente più di 50 pagine e post (privati e pubblici). I contenuti cancellati dagli amministratori di Facebook glorificavano l’azione di Jarrar. Come riporta sempre il The Times of Israel, una delle pagine rimosse apparteneva persino al clan di Jarrar che risiede a Jenin.

Palestinesi accusano Facebook: “è inginocchiato a Israele”

Gli utenti palestinesi si sentono perseguitati da Facebook. I firmatari dell’appello affermano che nel 2017 il social network abbia intrapreso delle azioni nei confronti di 200 account palestinesi. Facebook aveva infatti rimosso alcuni post e immagini che erano stati ritenuti provocatori e legati al terrorismo.

A fine febbraio Facebook ha rimosso anche la pagina Palestine.net (180mila like) che è notoriamente legata ad Hamas.

Muath Mashaal, un amministratore di Palestina 27, ha detto che Facebook ha oscurato la sua pagina dopo che lui aveva condiviso una foto del terrorista Jarrar. Mashaal ha poi riferito al sito Quds.net che il giro di vite sui contenuti palestinesi “dimostra che Facebook è diventato un’istituzione che fa operazioni d’intelligence”. Mashaal ha infine puntualizzato che Palestina 27 è specializzata nel “documentare la storia della sofferenza palestinese contro l’occupazione”.

Un giornalista palestinese, Naelah Khalil, ha invece detto che le misure di Facebook “provano che le mani dei sionisti sono dappertutto”. Secondo lui, gli alti dirigenti di Facebook “sono sionisti e sono inginocchiati a Israele”. L’affermazione di Khalil è un velato riferimento all’identità ebraica di Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook.

L’esperto avvocato palestinese Majed Arouri ha inoltre accusato Israele di essere dietro alla campagna anti-palestinese di Facebook: «Condanniamo le misure come un assalto esplicito alla libertà di espressione».  Arouri ha poi accusato Facebook di chiudere un occhio sulle pagine che incitano alla violenza contro i palestinesi.

Il Sada Social Center, un’organizzazione palestinese non-governativa (ONG), ha detto che l’amministrazione di Facebook ha rimosso un suo contenuto dedicato a Ahmed Jarrar per 29 volte in meno di 48 ore, definendo la decisione come “violazione”. Iyad Rifaie, portavoce della ONG, ha dichiarato che Facebook non riserva lo stesso trattamento alle pagine che incitano all’odio contro i palestinesi.

I rischi dei contenuti violenti secondo le forze di sicurezza israeliane

Da tempo, Israele chiede a Facebook di bloccare tutti i contenuti antisemiti e anti-israeliani. Gli esperti di sicurezza infatti ritengono che i post inneggianti alla violenza favoriscano le ondate di violenza contro i cittadini israeliani.

Nel gennaio del 2017, è stata infatti confezionata una proposta di legge, “la norma Facebook”, che se approvata, permetterebbe al governo israeliano di costringere Facebook alla rimozione di un contenuto ritenuto pericoloso dalla polizia.

Gli ideatori della proposta di legge dicono che la norma potrà essere applicata solo nel caso di incitamento sospetto, in cui c’è la reale possibilità che il materiale in questione danneggi la sicurezza pubblica e nazionale.

A suffragare queste ipotesi è stata una recente indagine sull’antisemitismo condotta dal Congresso ebraico Mondiale. Secondo il documento nel gennaio 2018 c’è stato un incremento dei messaggi antisemiti presenti sui social da parte dei 2,7 miliardi di utenti.

@castelpao