Al confine con Gaza, Hamas chiama alla protesta armata

Israele

di Redazione

Quarantacinque giorni di protesta armata: è quanto Hamas ha deciso in vista della celebrazione dei 70 anni di Israele. Preceduta da alcuni giorni di lanci di missili contro il sud dello Stato ebraico, il regime terroristico che governa Gaza ha così proclamato per venerdì 30 marzo, vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica, una “Marcia del ritorno” che ha portato circa 30.000 (secondo Times of Israel) tra miliziani e civili palestinesi a ridosso della barriera che segna il confine con Israele, provocando l’esercito israeliano con tentativi di incursione, copertoni bruciati a fare da cortina fumogena per coprire gli spari e il lancio di bottiglie molotov e innescare una reazione. Che non è mancata. L’esercito ha sparato – secondo fonti dell’IDF – “solo per colpire chi ha attaccato i soldati, tentato di varcare il confine o di danneggiare la barriera”. Il bilancio è di 15 morti e un centinaio di feriti. Almeno 10 dei palestinesi uccisi sono terroristi di Hamas che hanno guidato la rivolta armata.

La comunità internazionale ha chiesto una indagine indipendente sugli scontri, ma il ministro israeliano Avigdor Lieberman l’ha irrisa, dicendo che Israele non collaborerà con “una palese ipocrisia” e ha invitato le Nazioni Unite “a investigare sul mezzo milione di morti siriani”.

Reazione paradossale da parte del dittatore turco Erdogan, che ha accusato Israele di aver perpetrato “una strage a Gaza”, dopo aver passato le ultime settimane a bombardare e uccidere centinaia di kurdi nell’enclave siriana di Afrin, compresi bambini. Netanyahu ha replicato giudicando il discorso di Erdogan “un pesce d’aprile”.

Sono almeno sei i punti della barriera di confine tra Gaza e Israele che la massa di manifestanti ha cercato di abbattere. L’esercito israeliano ha sottolineato che Hamas “mette in pericolo le vite dei civili e le usa a fini terroristici, è responsabile dei disordini violenti e di tutto quello che avviene sotto i suoi auspici”.

L’esercito israeliano ha affermato di vedere “con grande severità ogni tentativo di far breccia nella sovranità israeliana o di danneggiare la barriera difensiva”. L’esercito ha poi spiegato di aver “imposto una zona militare chiusa tutto attorno alla Striscia in accordo con la situazione in atto. Con il rinforzo delle truppe, l’esercito, se necessario è preparato a rispondere – ha continuato – ai violenti disordini programmati lungo il confine della Striscia.

Il ministro della difesa Avigdor Lieberman ha avvisato in arabo, sul suo profilo Twitter, che “ogni palestinese che da Gaza si avvicina alla barriera di sicurezza con Israele metterà la propria vita a rischio”.

L’analista italo-israeliana Fiamma Nirenstein ha commentato: «La protesta di Hamas ha vari scopi: il primo è legato alla situazione interna di Gaza. L’uso militarista dei fondi internazionali e il blocco conseguente del progresso produttivo ha reso la vita della gente miserabile, nel mentre i confini restano chiusi. È colpa della minaccia che l’ingresso da Gaza di uomini comandati da un’entità terrorista come Hamas comporta per chiunque, israeliani o egiziani. Hamas con la marcia incrementa la sua concorrenza mortale con l’Autorità Palestinese di Abu Mazen, cui ha cercato di uccidere pochi giorni fa il Primo Ministro Rami Ramdallah».

Con la “Marcia del ritorno” si vuole proclamare il “Diritto al ritorno” dei figli, nipoti e pronipoti degli arabi che lasciarono il teatro di guerra nel 1948 quando, all’indomani della proclamazione dell’Indipendenza sancita dalle Nazioni Unite, il neonato Stato di Israele fu attaccato da cinque eserciti arabi coalizzati. I discendenti di coloro che – spontaneamente, sollecitati dai governi arabi  o spinti dall’avanzata delle truppe israeliane – lasciarono il territorio si sono nel frattempo decuplicati (in barba a qualunque preteso “genocidio” del “popolo palestinese”, come propaganda vorrebbe) e il loro “ritorno” nello Stato di Israele ne decreterebbe automaticamente la fine come Stato ebraico democratico e indipendente.