di Fiona Diwan
Il suo leggendario Stradivari del 1727 vola ed è come fosse un pezzo del suo corpo, un’estensione sensibile e vibratile che ondeggia e si flette come il ramo vivo di un giunco. Dopo un fermo di anni (dal 2007) e un intervento chirurgico alla spalla, la sua agilità e virtuosismo lasciano sbalorditi. Più grande di prima, se può essere possibile, Maxim Vengerov, è puro miracolo, una magia ritrovata dopo l’abbandono temporaneo del violino, il lungo periodo sabbatico, la stanchezza di anni di viaggi da stacanovista dell’archetto. Nato in Siberia nel 1974, precisamente a Novosibirsk, è stato il violino «numero uno» al mondo. Figlio di musicisti, enfant prodige e una carriera folgorante da super-virtuoso con le orchestre top, debutto alla Scala a 17 anni con Giulini nel Concerto di Mendelssohn, fino al «duetto» con Kavakos per l’Istituto Negri-Weizman nel 2006.
Emigrato in Israele nel 1990, una famiglia tutta di musicisti (il padre continuerà a suonare l’oboe anche in Israele), Maxim completa i suoi studi alla Jerusalem Academy of Music e dopo la bagrut va alla Tzavà, arruolandosi nell’esercito israeliano. «Israele è nei miei geni, è parte di me, il mio cuore e la mia anima appartengono a Israele. La mia famiglia emigrò quando avevo 16 anni, con la prima grande ondata migratoria dalla Russia, dopo la caduta del Muro di Berlino. Avevamo bisogno di un senso di speranza e grazie a Dio c’era – e c’è – questo Paese, un luogo con cui mi sono sentito subito in sintonia», ha dichiarato Vengerov in un’intervista a Times of Israel. «E’ difficile spiegare alla gente cosa questo significhi: tu cerchi di chiarirlo ma è inutile. Sebbene io oggi non viva in Israele per via del mio lavoro, io sento tuttavia che questa è la mia gente e un giorno la speranza è che io possa vivere qui la mia vita e costruire qui la mia casa».
Seguendo le orme dei suoi maestri Rostropovich e Barenboim, Vengerov studia direzione d’orchestra e negli ultimi anni – a causa del fermo forzato del problema alla spalla- si esibisce anche come direttore con le principali orchestre, tra cui Berliner Philharmoniker, New York Philharmonic, London Symphony Orchestra, BBC Symphony Orchestra, Orchestra del Teatro Mariinskij, Chicago Symphony Orchestra. «Suonare non mi stancherà mai, – ha dichiarato in numerose interviste – dato che il violino è la mia lingua madre. Solo che il perimetro della musica non si esaurisce nei pochi centimetri di uno strumento ad arco o nella solitudine di una recital. Ho voluto seguire le orme di Rostropovich, il mio padre musicale, colui che mi fatto diventare adulto dischiudendomi lo scrigno della sua saggezza».
E il 10 aprile questo concerto a Milano. Quattro bis, il Teatro dal Verme gremito, standing ovation ripetuta per il musicista assente da Milano da 12 anni. Un exploit commovente, quello del concerto del 10 aprile per le Serate musicali, insieme con la pianista Polina Osetinskaya. Il grande solista ha sedotto il Dal Verme con le Sonate op. 78 e op. 108 di Brahms, un Brahms dal respiro ampio e interiore, prima di volare nel vortice scintillante dei Palpiti di Paganini, un fuoco d’artificio di sovracuti. E infine, una pioggia di applausi per la generosità dei quattro bis: un Kreisler sublime con Caprice Viennois e Tambourin Chinois, ancora la Danza Ungherese n. 2 di Brahms, e infine una soave e celestiale Méditation da Thais di Massenet. Non a caso il Washington Post ha scritto recentemente di lui: «Vengerov suona con una facilità così innata che la difficoltà dei brani eseguiti non si registra davvero come tale. La sua tecnica prodigiosa è accompagnata da una grande dose di cuore. Non c’è niente di cerebrale nel suo approccio; piuttosto egli sembra comprendere istintivamente la musica e la porge con calore».