di Nathan Greppi
Giovedì 12 aprile, proprio lo stesso giorno in cui in Israele si celebra Yom HaShoah, è stato presentato al Teatro Parenti il romanzo La scomparsa di Josef Mengele (Neri Pozza), scritto dal giornalista francese Olivier Guez e basato sulla vita del Dott. Josef Mengele, noto per i crudeli esperimenti da lui attuati sugli internati ad Auschwitz.
Dopo la lettura di alcune pagine del libro da parte dell’attrice Federica Fracassi, la scrittrice Elena Loewenthal lo ha definito “un libro molto forte, non banale,” la cui principale forza è di “rendere presente il lettore.” In relazione a Yom HaShoah, ha affermato che in Israele “quei due minuti di silenzio stanno diventando sempre più una commemorazione della vita.” Ha citato le parole che il giorno prima il presidente israeliano Reuven Rivlin ha pronunciato davanti allo Yad Vashem: “La realtà è cambiata. Dobbiamo imparare a vivere non all’ombra della Shoah, ma accanto ad essa.” Secondo lei quella di Josef Mengele “una vita macabra, ammantata di morte dall’inizio alla fine.” Quella che fa il libro è “una ricostruzione minuziosa, molto documentata di questa esistenza folle, che ce lo riporta davanti agli occhi.” Ha aggiunto che da bambina aveva paura dell’immagine di Mengele, poiché era vivo e non si sapeva dove fosse.
Anche Wlodek Goldkorn, giornalista de L’Espresso, ha elogiato il libro, da lui definito “bellissimo formalmente, come libro letterario. C’è una prosa misurata, perché a parlare di questi temi il rischio del kitsch e del sentimentalismo è terribile, e basta un momento di disattenzione e ci si casca; qui (invece) non c’è niente, c’è una scrittura che travolge, io l’ho letto dall’inizio alla fine senza staccarmi.”
Olivier Guez ha spiegato che all’inizio non sapeva molto di Mengele, anche perché su di lui circolavano molte leggende metropolitane negli anni ’70, ma poi “ho cominciato a fare ricerche, e ho cominciato a scoprire una serie di fatti inconfutabili su cui poter basare la mia idea.” Ha aggiunto che, a differenza della Loewenthal, lui non è cresciuto con lo “spettro” di Mengele, e tuttavia “devo dire che fin dall’inizio, quando ho cominciato a lavorare a questo libro, scrivevo su Google il nome di Mengele e vedevo questo viso assolutamente agghiacciante. Mi sentivo come una marionetta nelle mani di questa figura, ma poi, un po alla volta, sono diventato io il burattinaio di Mengele. Rappresenta sicuramente l’iper-mediocrità, una persona assolutamente priva di spina dorsale, di una bassezza imbarazzante.” Inoltre, ha specificato che a differenza di Eichmann Mengele non era un nazista convinto, fece ciò che fece per convenienza.
“C’è anche un altro elemento che per me è importante,” ha spiegato, “ovvero quello che è il contesto in cui questo libro è stato scritto: perché se io avessi scritto questo libro negli anni ’90 sarebbe stato diverso, perché sarebbe stato una sorta di lavoro per garantire che la storia restasse agli atti.” Lui ha voluto concentrarsi sulla mediocrità di Mengele, poiché si tratta di “un uomo che veniva da una buona famiglia, che aveva due dottorati e una bella moglie, e com’è possibile che una persona così faccia quello che ha fatto? Che cosa è accaduto? […] Sicuramente mi è interessato molto studiare la facilità con cui questi uomini senza qualità sprofondano nel male assoluto.”
Per fare un confronto con l’attualità, ha ricordato che “a questo libro mi sono dedicato tra il 2015 e il 2016, due anni che per la Francia sono stati veramente terribili, per i massacri di innocenti da parte degli islamismi, e per l’ascesa dei populismi sia di destra che di sinistra, anche qui in Italia. Tutto questo spaventa moltissimo l’Europa, per questo sicuramente è molto semplice da questa situazione scivolare nel male.”