di Fiona Diwan
La creazione di uno Stato ebraico e l’esperienza dell’autodeterminazione rappresentano una svolta fondamentale per l’ebraismo e la condizione ebraica.
È una novità, inedita negli ultimi 25 secoli, che scuote profondamente il giudaismo rabbinico dell’esilio, messo a confronto con le sfide della gestione di uno Stato e di una società maggioritaria e che intima al popolo ebraico di vivere insieme, integrando la propria storia trimillenaria. Come pensare questo cambiamento all’interno dei termini dell’ebraismo?», si chiede il politologo e sociologo Shemuel Trigano parlando dell’identità di Israele al crocevia della Storia.
Siamo al Moked 2018 di Milano Marittima, curato da UCEI, da Rav Roberto Della Rocca, David Meghnagi, insieme l’eccellente staff del DEC: un’edizione dedicata ai 70 anni di Israele, che ha visto sfilare una qualità altissima di relatori e di interventi, nonché un coinvolgimento di pubblico intenso e partecipato. Dibattiti, film, vita ebraica, passeggiate sulla spiaggia, occasione di incontro e confronto tra i molti modi di vivere l’ebraismo e Israele. Riflessioni su identità, antisemitismo, scenari futuri. «Con l’inizio degli anni 2000 si è conclusa definitivamente l’epoca del Dopoguerra. Siamo entrati in un nuovo tempo storico: la globalizzazione, la crisi degli Stati-nazione europei e il crollo degli Stati arabi, lo sviluppo di forme imperiali di potere, in particolare l’Unione Europea, l’apparizione di un’ideologia dominante come il postmodernismo, la pressione migratoria e la guerra islamista. Tutto ciò segna l’entrata in una nuova era. Quale potrà essere la strategia globale per una continuità ebraica? Siamo ritornati a un mondo dominato da vasti Imperi, compresa l’Unione Europea, un nuovo impero senza imperatore. Come trovare allora il nostro posto? Saremo una minorità religiosa transnazionale o continueremo a essere una voce nazionale in ciascuno dei Paesi Ue? La verità è che gli ebrei oggi sono in una posizione di debolezza estrema, specie rispetto alla minoranza narcisistica e esigente degli arabi in terra europea», spiega ancora Trigano.
I panel dei relatori si sono susseguiti incalzanti: David Meghnagi, Assessore alla Cultura UCEI, docente universitario di Psicologia, ha aperto i lavori con un intervento sui nuovi e vecchi antisemitismi, sull’importanza simbolica del linguaggio usato dai media e l’urgenza di vigilare. La filosofa Donatella Di Cesare si è soffermata sul tema del Gher, dello straniero, parlando dell’antica Gerusalemme come città dei gherim, in antitesi con Atene e Roma. Per Sharon Kabalo, Ministro e consigliere per gli Affari economici e scientifici dell’ambasciata di Israele a Roma, uno scranno permanente all’ONU, si è soffermata sul Progetto Tikkun Olam, «una vision che riprende l’idea ebraica di “riparazione del mondo” con ad esempio l’opera di MASHAV, l’Agenzia Israeliana per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, che ha all’attivo 60 anni di lavoro nei Paesi in via di sviluppo, specie in Africa». Per Giovanni Quer, ricercatore e studioso delle minoranze e del conflitto arabo-israeliano, un post-dottorato alla Hebrew University di Gerusalemme, si tratta di interrogare il rapporto tra ebraismo e democrazia: «Israele retto sulla Halakhah? Israele come democrazia liberale? Israele come garante della religione ebraica? Israele come avamposto dello stile di vita occidentale? Israele come protettore della diversità? Le diverse tendenze sono sintetizzate da varie istituzioni, come le sentenze della Corte Suprema. Israele è anche però una società in continua evoluzione, in cui la diversità trova una propria collocazione sempre più centrale nella vita pubblica e istituzionale. Il processo di integrazione delle minoranze è il fenomeno più visibile dei cambiamenti che Israele ha messo in atto per rafforzare il senso di cittadinanza presso i gruppi non ebraici. Il fenomeno dell’integrazione delle minoranze ha una sua unicità storica: Israele è il primo caso dove l’Islam è una minoranza, e dove musulmani e cristiani sono minoranze in un mondo ebraico».
Lo storico Claudio Vercelli si è invece soffermato sul fenomeno della “satanizzazione” di Israele: «l’antisionismo è oggi parte integrante di una nuova giudeofobia. Un pregiudizio trasversale, che si alimenta dei conflitti mediorientali per divenire una sorta di ideologia onnicomprensiva, grazie alla quale interpretare il mondo: se le cose vanno male è perché dietro c’è il malefico zampino dei “sionisti”».
Maurizio Molinari, direttore del quotidiano La Stampa, ha concluso con uno sguardo agli scenari globali: «A 70 anni dalla sua formazione, Israele è di fronte ad un Medioriente in decomposizione, a sfide di sicurezza regionale che gli impongono un nuovo equilibrio fra Usa e Russia e a sfide di crescita economica che la proiettano, nella competizione globale sull’innovazione, con Silicon Valley ed Estremo Oriente».