di Paolo Salom
[voci dal lontano occidente]
Un presentatore della Bbc, il suo nome è Andrew Marr, qualche tempo fa, parlando delle violenze in Siria e delle responsabilità della Russia, ha citato, come termine di paragone, Israele, “il cui esercito ha ucciso tanti bambini a Gaza”. La notizia non è tanto nell’insulto gratuito, quanto nel fatto che l’ente televisivo britannico ha ufficialmente sanzionato il suo anchorman per avere diffuso “notizie non verificate”. Meno male, direte voi. Ma la questione resta: ossia il fatto che un anchorman inglese abbia dato per pacifico e scontato che “Israele (o gli ebrei) uccida i bambini”, un “fatto” che non ha bisogno di essere dimostrato. Ricordo il presidente turco Erdogan, alcuni anni fa, quando era ancora il benvenuto in Europa, osservare con estrema tranquillità di fronte ai rappresentanti delle élites mondiali radunati a Davos, in Svizzera, che “Israele sa come uccidere i bambini”. Di fianco a lui, un Shimon Peres insolitamente fuori di sé, paonazzo per la rabbia, aveva cercato di replicare all’accusa citando fatti e realtà. Ovviamente le sue parole sono state presto dimenticate, mentre la frase di Erdogan, nella sua semplicità, si è inserita nella bacheca della coscienza pubblica.
Perché accade tutto ciò? Soprattutto, in un contesto come quello mediorientale, dove i bambini sono sì vittime, ma degli adulti che parlano la stessa loro lingua? In Siria per via della guerra civile, a Gaza perché Hamas li invia sapientemente in prima linea. Ma alle cronache passa soltanto il concetto che è Tsahal a brutalizzare gli indifesi.
Ritengo che tutto ciò risponda a due meccanismi strettamente collegati. Il primo: una coscienza formatasi sul concetto di derivazione religiosa che gli ebrei sono “cattivi” (due millenni di antigiudaismo cristiano e dimmitudine islamica non si cancellano in qualche decennio, nonostante l’effettiva buona volontà di molti, specie nella Chiesa); il secondo: la cinica – e abilissima – capacità degli arabi di inserire il loro conflitto con lo Stato ebraico in un contesto che nel lontano Occidente viene appunto immediatamente recepito come veritiero, a prescindere dalla realtà fattuale.
Per intenderci: è come il processo che permette alla droga di inserirsi nell’organismo umano, andando a occupare recettori predisposti ad accogliere determinate molecole. E come è noto, liberarsi dall’assuefazione impone uno sforzo sovrumano.
Dunque? Al termine di un’estate calda, mentre ci prepariamo all’inizio di un nuovo anno, vale la pena soffermarsi su un automatismo causa-effetto che ci sorprende (come è capitato a Peres con Erdogan) facendoci perdere la calma (capita) o anche spingendoci in distinguo e prese di distanza che nascono soltanto dal desiderio di non essere considerati “cattivi”. Reazioni comprensibilissime. Ma, che ci piaccia o no, inadatte a disinnescare un pensiero magico che ha radici molto profonde.
Averne coscienza è comunque un primo passo verso la sua demolizione.
Shanà tovà.