Quando i rabbini discutono di bioetica. Tzahal che studia nuove tecnologie per il potenziamento umano in campo militare. L’omeopatia che non è “validata scientificamente”; l’importanza dei vaccini e il fine-vita. Questi i temi affrontati dal Comitato Nazionale di Bioetica. Ne parliamo con Rav Riccardo Di Segni, che ne fa parte ormai da molti anni: un’intervista esclusiva
«Ritengo il Comitato Nazionale di Bioetica una grande scuola: vi ho trovato persone con competenze di altissimo livello nelle discipline mediche, giuridiche, filosofiche, storiche». Così Rav Riccardo Di Segni sintetizza la sua esperienza nell’organismo istituito con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 28 marzo 1990, che “svolge sia funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre istituzioni, sia funzioni di informazione nei confronti dell’opinione pubblica sui problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche e delle applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute”.
di Cristina Uguccioni
Con il termine “bioetica”, comparso per la prima volta negli Stati Uniti nel 1970, si designa quella disciplina che indaga sui limiti di liceità o illiceità degli interventi compiuti dall’uomo sulla vita umana e non umana, esistente o non ancora esistente, interventi che – in virtù del progressivo sviluppo della scienza e della tecnologia in medicina e biologia – sono già possibili o si prevede lo diventeranno in futuro. Nel 2006 Riccardo Di Segni, medico e rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, è stato invitato a far parte del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) e nel 2008 è entrato a far parte del Comitato di Presidenza in qualità di vice-presidente. Istituito nel 1990, il CNB è un organo del governo composto da esperti di diverse discipline: fornisce consulenze al governo, al Parlamento e ad altre istituzioni anche in vista dell’elaborazione di atti legislativi; inoltre ha il compito di informare la popolazione circa i problemi etici che sorgono nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute. In questa conversazione con Bet Magazine Riccardo Di Segni racconta i suoi anni di lavoro al CNB.
Come descriverebbe la sua esperienza al CNB e perché ha deciso di accettare l’invito a farne parte?
Ho accolto l’invito sia perché nella duplice veste di rabbino e di medico mi confronto quotidianamente con molte fra le tematiche che sono oggetto del dibattito bioetico, sia perché mi fa piacere poter offrire il mio contributo alla riflessione nel massimo organo nazionale dedicato ai temi bioetici. Ritengo il CNB una grande scuola: vi ho trovato persone con competenze di altissimo livello nelle discipline mediche, giuridiche, filosofiche, storiche. La bioetica è infatti per sua natura interdisciplinare.
Quali temi, divenuti oggetto della riflessione del CNB, l’hanno maggiormente coinvolta e appassionata?
Durante questi anni abbiamo affrontato numerosi argomenti, per i quali mi sono sempre molto documentato. Ne menziono alcuni fra quelli che mi hanno maggiormente appassionato: l’ampio spettro di questioni legate all’inizio e fine vita, alcuni problemi connessi a emergenze sociali, come le vaccinazioni, gli interrogativi relativi ai cosiddetti “grandi immaturi” (ossia i neonati di 22-23-24 settimane), tematiche inerenti la farmacologia. Nel 2017, ad esempio, ci è stato chiesto un parere sull’etichettatura dei cosiddetti “medicinali omeopatici” in vista del rinnovo dell’autorizzazione all’immissione in commercio di tutti questi prodotti: il CNB ha espresso l’indicazione che il termine “medicinale” fosse sostituito da “preparato” e che le etichette indicassero: “Preparato omeopatico di efficacia non convalidata scientificamente e senza indicazioni terapeutiche approvate”. Ho partecipato alla riflessione esprimendo la mia convinta contrarietà a questi prodotti non solo perché, appunto, la loro efficacia non è convalidata scientificamente, ma anche perché una persona che assumesse questi preparati – come ha messo in luce un’autorità rabbinica americana – trasgredirebbe il divieto della Torah di compiere atti magici: i preparati omeopatici infatti si basano su sostanze che, diluite, dovrebbero continuare ad assicurare risultati benefici. Tali sostanze sono però così estremamente diluite da risultare di fatto inesistenti configurando quindi la loro assunzione come ricorso a un atto magico. Ho anche coordinato la riflessione e la stesura di un documento sulla bioetica militare, un campo disciplinare che indaga il comportamento etico in tempo di guerra. Può sembrare un tema marginale in Italia, dove si vive in pace, ma altrove, ad esempio in Israele, è molto sentito.
Il CNB ha preso in esame un aspetto specifico, quello del “potenziamento umano”, ossia la possibilità che ai soldati siano applicate tecnologie di “potenziamento” definibili come strategie per creare capacità umane che vanno oltre la normale variabilità biologica attraverso modificazioni della funzione umana, tra cui interventi chirurgici, modificazioni genetiche, stimolazione neuronale, farmaci potenzianti. Su questo tema, partendo dal presupposto condiviso del ripudio della guerra, il CNB ha espresso un generale giudizio di disvalore etico. Molte di queste tecnologie rappresentano un rischio sia per i soggetti che vengono ad esse sottoposti, che per gli avversari, civili e militari, che va oltre i limiti previsti dal diritto internazionale vigente relativamente alle attività militari e alla guerra.
A suo giudizio, i documenti elaborati dal CNB hanno reale incidenza sulla legislazione nazionale e sull’opinione pubblica?
Sappiamo che in sede parlamentare questi documenti sono studiati e costituiscono la base per la discussione. Sappiamo inoltre che i magistrati, soprattutto in assenza di norme precise, li consultano per avere un orientamento. L’impatto sulla popolazione è invece debole anche perché questi testi richiedono una lettura non frettolosa e la disponibilità a inoltrarsi in discipline magari poco conosciute.
Riguardo ai temi della bioetica, nelle comunità ebraiche italiane si riscontra la varietà di posizioni presente nella società italiana?
Sì: sui singoli temi non esiste una posizione univoca ma uno spettro di pareri, anche tra loro contrastanti. Ad accomunare tutti è il grande interesse verso queste tematiche: reputo importante che questo interesse esista.
Vi sono occasioni istituzionalizzate di confronto tra i rabbini italiani sulle questioni bioetiche?
In passato vi sono state, anche se non molto frequenti. Al momento non esistono occasioni simili: vi sono però consultazioni informali continue che nascono dalle esigenze dei singoli membri delle comunità. Quando una persona si trova a vivere un lacerante problema etico – legato ad esempio ad una gravidanza complicata o a un paziente terminale – consulta il proprio rabbino per chiedere un orientamento: a sua volta il rabbino, a seconda delle competenze necessarie, si rivolge ad altri rabbini. Viene quindi a formarsi un forum di riflessione su quello specifico problema.
La molteplicità di prospettive che caratterizza il dibattito bioetico italiano è presente anche in Israele?
Sì, a cominciare dal mondo rabbinico: rispetto a molte questioni non è scontato che la risposta dei rabbini sia univoca: vi sono divergenze tra le diverse scuole. Questo spettro di posizioni si integra con le diverse opinioni presenti nella popolazione. Ciò non impedisce di fare sintesi: ad esempio, alcuni anni fa, quando la Knesset dovette stabilire norme riguardati il fine vita, si costituì un gruppo di lavoro composto da legislatori laici e religiosi che operò bene riuscendo a elaborare una legge caratterizzata da onorevoli compromessi. In Italia, invece, su questo specifico tema, vi sono posizioni in alcuni casi ideologizzate che ostacolano il raggiungimento di decisioni ampiamente condivise.
Quali ritiene saranno i temi bioetici che diverranno oggetto di studio e di dibattito nei prossimi anni in Italia?
Sono molti: ad esempio, tutte le questioni legate ai tumultuosi progressi in campo genetico (con interventi che possono anche alterare la stessa identità umana individuale) o il tema dei “big data”, ossia quella enorme quantità di informazioni che la tecnologia consente di raccogliere in modo sempre più veloce e che possono essere utilizzate per orientare la popolazione (ai consumi o in ambito politico). E poi vi sono sempre i problemi “tradizionali” della bioetica, quelli sull’inizio e fine vita ad esempio.
Quali, fra i temi emergenti della bioetica, lei giudica più insidiosi?
Lo scenario al quale andiamo incontro vede una crescente “invasione tecnologica” nella vita dei singoli e delle comunità e la conseguente diffusione di visioni filosofiche, di paradigmi culturali che comportano seri rischi per la sopravvivenza di valori nei quali crediamo. Noi ebrei, ad esempio, crediamo in un modello di società basato sulla famiglia tradizionale, sul matrimonio, ma oggi questo modello si sta disgregando, e ciò obbliga il mondo ebraico a misurarsi con questi cambiamenti. Un altro tema è la bioetica delle differenze, quell’insieme di problemi – da affrontare e approfondire – che nascono dalla presenza di nuove tradizioni culturali e religiose sul territorio italiano ed europeo.