di Claudio Vercelli
[Storia e controstorie] Il fascismo non tornerà, ma la subcultura fascistoide esiste e si espande
Abbiamo già avuto modo di scrivere, su queste pagine, che il fascismo non ritornerà. Lo abbiamo affermato con una certa perentorietà non per il gusto della presunzione di giudizio, bensì per il riscontro storico che quel regime politico dispotico costituisce, nei fatti, una tragica esperienza del tutto conclusasi. Essa, infatti, rispondeva ad un’epoca storica che presenta pochi paralleli con quella corrente. Allora il conflitto tra capitale e lavoro, e tra due modelli non solo politici e ideologici, ma anche culturali ed etici contrapposti (democrazie e totalitarismi), erano tra gli elementi che, insieme al succedersi delle crisi economiche generate dalle innumerevoli difficoltà provocate dal primo dopoguerra e trascinatesi poi nel tempo, portarono a soluzioni tanto radicali quanto infine disastrose. In molte parti d’Europa, a partire dalla stessa Italia, che costituì il prototipo delle moderne dittature.
Detto questo, ossia avendo misurato le necessarie distanze dal passato (il quale, ripetiamo, non ritorna mai uguale a se stesso), rimane tuttavia innegabile che vi siano alcune ricorrenze. Ovvero, modi di pensare, atteggiamenti, parole ma anche situazioni, relazioni, contesti che presentano alcune analogie con il passato. Il primo punto da cui partire è che il “pensare fascista” (un piccolo universo di convincimenti che si basa sull’indissolubile binomio tra un odio spiccato verso ogni forma di pluralismo politico, culturale e sociale e la propensione alla sistematica prevaricazione, fisica e intellettuale) non si è mai esaurito. Non è prerogativa dei soli “fascisti”, va da sé, ma questi ultimi risultano tra quanti meglio sono riusciti a dare forma politica a una miscela così pericolosa. Il secondo elemento è che l’intolleranza alla democrazia liberale e sociale è un virus inesauribile, destinato ad alimentarsi, di questi tempi, dal suo affaticamento un po’ in tutta l’Europa e non solo. Stiamo vivendo come in una sorta di epoca di strana sospensione, al di sopra di un vuoto del quale non riusciamo a misurare le autentiche dimensioni. In altre parole, abbiamo compreso che gli ordinamenti del passato recente, da quelli geopolitici alle istituzioni di casa nostra, stanno conoscendo un mutamento.
Non ci risulta chiara, tuttavia, la direzione di una tale trasformazione. Sappiamo da cosa prendiamo il largo, non quale potrebbe essere la meta. L’affacciarsi e l’affermarsi in Europa di movimenti variamente definibili, dal populismo al sovranismo, dall’identitarismo ad una specie di fondamentalismo basato sul legame tra “moralità pubblica” e chiusura etnica, è un elemento che induce a molte riflessioni. Poiché se il fascismo storico è morto e sepolto, non la medesima cosa può invece essere detta della subcultura fascistoide, della quale invece si hanno crescenti manifestazioni anche al di fuori dei confini del nostro Continente. Basti pensare ai movimenti di radice islamista, per fare uno degli esempi possibili e plausibili. Non si tratta di una questione di mancato galateo istituzionale, di una maggiore propensione alla “cattiveria” da parte di certuni, di una carenza di “educazione democratica”. Semmai subentra la reciproca influenza tra scadimento della qualità dell’esistenza in una parte delle nostre società e propensione a scardinare i complessi ma anche fragili equilibri di poteri sui quali riposano le nostre democrazie. Ancora una volta, la questione del rapporto tra maggioranza e minoranze nazionali sarà il terreno di confronto sul quale misurare il destino non solo delle seconde, ma di tutta la collettività, considerata nel suo insieme, in quanto parte di un unico ed inscindibile aggregato.