di Ines Monti
In una notte del ’42, una giovane donna si aggira vicino a Varsavia con addosso solo il cappotto e la camicia. È Anna, staffetta e Primula Rossa della Resistenza, appena fuggita dal ghetto.
Donna di grande ardimento e lucidità, Anna Duracz ha lasciato, con le sue memorie, una straordinaria testimonianza. Tra politica e spinte ideali
Alla fine degli anni Sessanta, Anna Duracz arriva a Siena dalla Polonia per curarsi. È ormai vicina ai cinquant’anni, un po’ provata, ma ancora bella. Ha tratti slavi, gli occhi sfolgoranti e la conversazione avvincente. È una brillante redattrice editoriale, esperta di letteratura, ma ha temporaneamente sospeso la sua attività per problemi di salute. La ospita la cugina, sposata a un medico.
Affermare che la vita di Anna Duracz, nata Mᾳczkowska, sia tutta un’avventura non è esagerato. Anna è reduce dalle più tragiche vicende del conflitto mondiale, vissute in prima persona. Studentessa socialista, rinchiusa nel ghetto di Varsavia, diventa una delle Primule Rosse della resistenza ebraica. Intellettuale militante nella Polonia del Dopoguerra, sconta sulla sua pelle le purghe staliniste. Ma in ogni momento della sua non lunga vita ha la forza di non sottomettersi mai, anche quando il potere costruisce un invincibile apparato per piegare ogni opposizione.
Le cure purtroppo non hanno buon esito. Anna, che inizia a passare lunghi periodi in Israele, decide di dare ordine ai suoi ricordi e li riporta con spirito di osservazione scientifico. In queste memorie, le vere protagoniste sono le battaglie combattute insieme ai compagni, dei quali registra con cura i nomi, perché il sacrificio di ciascuno non sia dimenticato. Nel 1972 deposita tutto presso lo Yad Vashem, a Gerusalemme.
Al di qua del Muro
Nel 1938, dopo il suo ingresso alle scuole superiori, Anna si avvicina alla sinistra radicale ed entra a far parte del gruppo Spartacus. Gli spartachisti nel ’41 sono circa un centinaio e la maggioranza, scrive Anna, “è costituita da ragazze e ragazzi di origini ebraiche”. Ma con la chiusura del ghetto, i membri “al di qua” del muro vengono separati da quelli all’esterno e l’organizzazione smantellata.
Mentre le condizioni tra la popolazione reclusa peggiorano di giorno in giorno, il gruppo si ricompatta sul tema della mutua assistenza e sul progetto di continuare l’educazione con spirito antifascista. I giovani fanno ciò che possono: in un appartamento creano una mensa che offre minestre. Poi, quando comincia la liquidazione finale del ghetto e molti perdono i famigliari, si raccolgono in una comune in via Nowolipki.
Nel successivo biennio, ciò che resta di Spartacus confluisce nel Partito Polacco dei Lavoratori, unendosi ai membri delle organizzazioni giovanili comuniste, ai veterani e agli attivisti provenienti dalle zone occupate dai tedeschi e anche loro confinati nel ghetto. Queste persone rappresentano il primo nucleo di combattenti armati. La principale mansione è però raccogliere i fondi per l’attività politica e per stampare un giornale. A ciò si aggiunge il pronto soccorso e l’addestramento “militare”. Anche se l’unica arma in possesso è una rivoltella! Tutto questo comunque dura poco. Nel maggio del 1942 ci sono numerosi arresti e il 22 luglio hanno inizio le deportazioni.
Anna abita a quel tempo con i genitori Nathan e Grunwalda Mᾳczkowski nella strada centrale del ghetto, nello stesso edificio in cui risiede Adam Czeniakόw, capo del Consiglio Ebraico il quale, proprio il 22 luglio, si suicida nel suo ufficio per non consegnare alle SS la lista degli orfani da deportare ogni giorno nei lager. In agosto, il gruppo progetta di incendiare il ricovero di armi delle SS, ma deve rinunciare per mancanza di mezzi: combattere diventa l’ossessione. Tutti i parenti di Anna nel frattempo vengono deportati, eccetto il padre.
Dopo una serie di tentativi falliti di stabilire collegamenti con l’esterno, il 22 settembre i compagni si radunano e votano per inviare Anna al di là del muro con il compito di rinnovare i contatti con il partito. D’altronde la ragazza è già stata fatta passare a questo scopo anche l’anno precedente. Il suo sangue freddo la protegge e i tratti la fanno scambiare per ariana.
La sua partenza dal ghetto viene organizzata dal padre. La ragazza esce confusa con un gruppo di operai ebrei, che passano dal posto di controllo per andare a lavorare. La notte stessa però viene aggredita da una banda di malfattori che le ruba tutto. E la lascia con addosso solo il cappotto e la camicia. Fortunatamente Anna riesce a mettersi in contatto con alcuni clienti del padre, proprietario prima della guerra di una ditta di accessori per auto. Poco dopo l’accoglie la generosa famiglia Markowski.
Le barriere non finiscono mai
Iniziano gli anni della clandestinità, durante i quali Anna opererà nella resistenza tra le fila del Partito Polacco dei Lavoratori. Nel frattempo anche il padre e lo zio Israel riescono ad uscire dal ghetto. Li aiuta Jerzy, un combattente clandestino, figlio di Teodor Duracz, un famoso avvocato di Varsavia, che difende anche ebrei e comunisti. Jerzy si prodiga in ogni modo per gli esausti fratelli Mᾳczkowski, nascondendoli in un appartamento. Poi, quando un vicino scopre il rifugio, li aiuta a raggiungere i partigiani nella vicina foresta di Lasy Parczewskie.
Nel 1943 il giovane conduce numerose operazioni militari nei dintorni e nelle strade di Varsavia, occupata dai tedeschi, insieme a Niuta Tajtelbaum, anche lei di provenienza spartachista, uscita dal ghetto e amica di Anna. Lo stesso anno Niuta è catturata e, come Teodor, dopo giorni di tortura è condannata a morte dai tedeschi. Il 20 aprile Jerzy prende parte con successo all’assalto a una postazione tedesca che spara contro gli insorti durante la liquidazione finale del ghetto.
Dopo la guerra
Nel 1949 ritroviamo Anna sposata da tempo a Jerzy. È segretaria di Jakub Berman, ministro della propaganda e della sicurezza nella Polonia. Siamo nel periodo delle purghe, mediante le quali Stalin vuole indebolire la leadership ebraica nei paesi comunisti. L’obiettivo di Stalin è forse Berman o Gomulka, e la scusa è la vicinanza ai vertici del partito dei fratelli americani Hermann e Noel Field, presunti agenti segreti. Ma l’attenzione si sposta su Anna Duracz, che insieme al marito aveva incontrato Field nel 1946 in Francia, dove l’americano lavorava presso un’organizzazione umanitaria. In una lettera a Berman, classificata come segreta, Anna respinge con fermezza l’accusa di spionaggio rivolta a Field. Arrestata, viene rinchiusa in carcere senza una accusa ufficiale o un processo. Qui tenta per due volte il suicidio. Nel gennaio del 1951 viene rilasciata senza spiegazioni e poi riabilitata con la nomina nel 1956 dell’ex partigiano Gomulka a segretario del partito comunista polacco.
All’inizio degli anni Settanta, i Duracz si trasferiscono in Israele. A Jerzy viene riconosciuto il titolo di Giusto tra le Nazioni. Nel 1972 Anna, sentendo che la fine non è lontana, scrive le sue memorie. Delle pagine del periodo nel ghetto colpisce lo stile: scarno, puntuale, che non esalta mai i pericoli corsi e il coraggio nelle azioni, ma è meticolosamente attento alle vicende dei compagni. Dove lo sguardo, rivolto alla lotta contro i tedeschi, evita di posarsi su ciò che accade intorno. Questa capacità di astrazione le dà forse il coraggio di combattere e affrontare i rischi di uscire dalle mura del ghetto. La voce narrante ha solo una volta un tremito, quando descrive il furto di ogni avere e l’angoscia di essere lasciata nella solitudine e nel freddo della notte polacca. Nel giugno del 1973 Anna cede alla malattia.
Per la collaborazione nella traduzione delle memorie si ringrazia Deborah Sagal