di Marina Gersony
Furono molti gli artisti d’avanguardia che, a causa della censura nazista, si trasferirono negli USA. Per rifarsi una seconda vita e vivere una nuova e feconda stagione. Un saggio
Il verdetto è implacabile: qualsiasi forma d’arte d’avanguardia è bandita. In un clima dominato dalla censura e dal controllo, la propaganda nazista punta il dito contro tutta la cultura artistica moderna e la sua espulsione immediata dalla Germania. Significativa è la foto che ritrae Hitler in visita al museo d’arte tedesca dove sono raccolte le opere figurative di taglio classico, mentre contemporaneamente nella mostra dell’Arte degenerata vengono indicati gli esempi negativi del modernismo. Per il Führer e i suoi accoliti, l’Entartete Kunst, ossia quella che viene bollata tout court come «arte degenerata», è sinonimo di disordine e caos. Per non parlare di quei mercanti truffaldini che trattano quell’arte oltraggiosa, per la maggior parte «i soliti ebrei»!
Un brillante saggio di Maria Passaro, docente di Storia dell’arte contemporanea nell’Università degli Studi di Salerno, ripercorre con dovizia quel periodo buio partendo proprio da quella mostra sull’«Arte degenerata» del 1937 che presenta gli artisti d’avanguardia come un residuo sociale perverso e irrecuperabile. La furia censoria dei nazisti non perdona e il clima è sempre più carico di minacce. È così che un’intera leva di artisti si vede costretta a fuggire dalla Germania e dall’Europa per cercare riparo negli Stati Uniti. La libertà non ha prezzo e in America c’è la speranza di un futuro migliore. Non è tuttavia solo il mondo dell’arte che decide di espatriare, è il mondo della cultura, della scienza e del sapere che sceglie libertà di espressione e nuove prospettive, il più possibile lontano dalla barbarie nazista: Max Reinhardt, Stefan Zweig, Roman Jakobson entrano negli Stati Uniti con il visto speciale, così come i premi Nobel, Albert Einstein e Thomas Mann. Ma l’elenco degli intellettuali e degli artisti in fuga è ben più variegato e corposo.
Il punto che all’autrice preme sottolineare è soprattutto di come, in realtà, la fuga forzata in un Altrove abbia i suoi aspetti anche positivi, smentendo una rappresentazione dell’esilio esclusivamente come perdita dell’identità, anche artistica: il libro mostra infatti come per molti di quei transfughi – da Mondrian a Kandinsky, da Moholy-Nagy a Max Ernst – l’esperienza americana abbia di fatto coinciso suo malgrado con una stagione feconda, ricca di energia, di stimoli e di straordinaria creatività.
Maria Passaro, Artisti in fuga da Hitler. L’esilio americano delle avanguardie europee, editore Il Mulino, collana Saggi, pp. 182, euro 16,00.