di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] Leggere le vite dei grandi personaggi permette di cercare di capire chi fossero, quali problemi avessero, quali siano state le loro scelte, i sogni, le qualità umane. per questa ragione la biografia è un genere di grande successo popolare, ma ricco di interesse anche per chi vuole studiare la storia nei suoi dettagli umani.
Le biografie di personaggi più recenti si basano su documenti originali, su testimonianze di prima mano, su immagini; ma quando si va indietro nella storia, si dipende sempre più da narrazioni precedenti. Ciò è particolarmente vero per i protagonisti della storia antica del popolo ebraico, che risalgono a tremila anni fa ed oltre, di cui abbiamo solo la narrazione biblica e i racconti del Midrash messi per iscritto molti secoli, magari millenni, dopo la loro vita. E però queste esistenze remote restano particolarmente interessanti per noi, perfino enigmatiche, istruttive ma certamente difficili da narrare: perché il testo biblico è quasi sempre molto succinto e focalizza quasi solo le azioni, non i pensieri o i sentimenti, mentre i Midrashim arricchiscono molto i dettagli ma spesso si contraddicono e hanno intenti apologetici o morali, non badando neppure essi alla psicologia del personaggio. E però vale la pena di interrogarsi sui grandi uomini che hanno fondato i destini del popolo ebraico.
Perciò voglio segnalare in questa rubrica un libro in inglese, che mi ha colpito per la sua ricchezza di pensiero e la sua empatia biografica: Moses. A Human life di Avivah Gottlieb Zornberg, che ha insegnato a lungo alla Hebrew University. Il libro è pubblicato da Yale University Press ed è facilmente ordinabile online. Il suo oggetto è quel che continuiamo a chiamare Rabbenu, “il nostro maestro” per antonomasia: Mosè, il personaggio senza dubbio più importante della Torà, ma in un certo senso anche il più mitico, quello che si spinge più vicino all’ambito del divino, dato che il testo racconta che “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico” (Es. 33,11), ma all’inizio della sua missione cerca addirittura di farlo morire (Es. 4:24). Tuttavia, anche sul piano della sua “vita umana” Mosè dà molto da pensare. Sottratto alla famiglia da neonato, allevato come un principe egiziano, a un certo punto si accorge della sofferenza di quelli che individua come “fratelli”, ma non ha il tempo di conoscerli, deve fuggire dopo aver ucciso un loro aguzzino. Quando torna è già il leader incaricato dell’uscita dall’Egitto, ma non può avere con il suo popolo un rapporto di appartenenza facile: ha una famiglia, è legittimato dal messaggio divino che porta, ma è un estraneo con un aspetto egiziano (così lo vede perfino sua moglie Tsipporah al primo incontro, Es.2,19), che parla, per lo più all’inizio, per bocca di Aronne.
Anche dopo l’Esodo, il rapporto col popolo è sempre difficile, a rischio di una dipendenza eccessiva, perfino idolatrica, ma anche segnato da rivolte e calunnie. È il maestro di Israele, ma balbetta, dice di essere “lento di bocca”. Guida il popolo con la decisione che gli viene dalla sua missione, ma insieme è definito “il più umile degli uomini”; l’obiettivo di tutta la sua vita è la terra di Israele, ma non riuscirà a mettervi piede. Si vela per non vedere il roveto ardente, ma poi anche per non far vedere la luminosità del suo volto al popolo.
Avivah Gottlieb Zornberg affronta i dettagli stupefacenti e istruttivi della vita di Mosé usando soprattutto gli strumenti tradizionali del pensiero: il Midrash, il Talmud, i commenti classici a partire da Rashì, le analisi stimolanti di numerosi maestri chassidici; ma confronta risultati e ipotesi con le idee di numerosi pensatori moderni come Freud e Levinas, Zizek ed Emerson. Ne vien fuori una lettura sorprendente e interessantissima, capace di indurre nuove domande e riflessioni anche in chi conosce la narrazione biblica.