L’Europa si tinge di nero: la rinascita dell’estrema destra

Mondo

di Ilaria Myr

Nazionalista e razzista, xenofobo e antisemita, populista e antieuropeista: questo il volto della destra radicale oggi, dalla Francia alla Scandinavia, dalla Germania alla Polonia… Che si tatti di PARTITI politici, movimenti neonazisti, lupi solitari. Una “fasciosfera” composita e inquietante. Ecco una mappatura della nuova galassia neofascista europea

È il 9 ottobre 2019: Stephan Balliet, neonazista di 27 anni, tenta di entrare nella sinagoga di Halle, in Sassonia-Anhalt, con l’intenzione di fare una strage di ebrei, “radice di tutti i problemi”. Non riesce a superare la porta di sicurezza, ma uccide due passanti. È un emulo di Anders Breivik, l’estremista di destra che nel luglio del 2011 uccise 77 persone, quasi tutti ragazzi della gioventù socialista, in due attentati a Oslo e nell’isola di Utøya, in Norvegia. Contestualmente, nell’ultimo decennio si sono ampiamente rafforzate a livello politico forze estremiste, nazionaliste e spesso antieuropeiste, in molti Paesi europei, tanto che si dice che in soli 15 anni la destra radicale abbia triplicato i suoi consensi nel continente.
Ma che cosa si intende con “estrema destra”? Secondo gli studiosi, si tratta di un insieme che comprende partiti che esprimono elementi di nazionalismo, “nativismo”, varie forme di razzismo e xenofobia o che abbiano legami con movimenti esplicitamente neonazisti o neofascisti, e predichino e pratichino approcci violenti, prevaricatori e antidemocratici.

Viaggio nell’Europa di destra e oltre
Un po’ di numeri. In Germania, l’Alternative für Deutschland (Afd) alle ultime elezioni europee ha ottenuto il 10,5%; in Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen il 23,3% e nel Regno Unito, con il Brexit Party (che ha trionfato alle elezioni europee), lo Ukip si è spostato su posizioni di destra border line con l’estremismo. Tra destra e radicalità, la distanze si accorciano. In Spagna, Vox ha raggiunto il 10,3% dei voti nazionali, e in Polonia ha appena vinto la destra sovranista di Kaczynski. In Olanda ci sono il Partito per la libertà di Geert Wilders e il Forum per la democrazia dell’euroscettico, populista e nazionalista Thierry Baudet, mentre in Belgio al nazionalista fiammingo Vlaams Belang è andato il 12% dei voti alle elezioni nazionali ed europee. E ancora: in Austria, il Partito austriaco della libertà (Fpö), seppure indebolito dallo scandalo che ha coinvolto il suo leader Strache, ha ottenuto alle europee più del 17% dei voti, mentre l’ungherese Fidesz di Viktor Orban è stato espulso dal Partito Popolare Europeo per l’approvazione di leggi sempre più illiberali e antidemocratiche. E poi ci sono la Repubblica Ceca, con Libertà e democrazia diretta (9% alle europee); la Slovacchia, con il partito neo-nazista Kotleba (12%) e la Slovenia, con il Partito nazionalista sloveno (4%). Passando al nord Europa, con numeri di un certo peso (tra il 10 e il 15 per cento), abbiamo in Svezia i Democratici svedesi, in Finlandia il Partito dei finlandesi, in Danimarca il Partito del popolo danese e in Estonia il Partito popolare conservatore, entrato al governo con il 18% dei voti. Per la Grecia si deve menzionare il partito Alba Dorata che, pur in netto calo nell’ultimo anno, nel 2015 era il terzo del Paese. Pesa sul suo tramonto il processo in corso contro il gruppo dirigente per alcuni presunti omicidi, il ferimento di diverse persone, ripetuti attacchi contro immigrati, omosessuali e attivisti di sinistra. Infine, la nostra Italia, dove il blocco sovranista Lega-Fratelli d’Italia ha conquistato, alle ultime europee, ben il 40% dei voti.

Un continente, tante destre
È uno scenario dunque complesso e composito quello della destra radicale in Europa: ci sono partiti che hanno una matrice dichiaratamente neofascista – il nostrano Fratelli d’Italia, i Democratici svedesi di Jimmie Åkesson, il Rassemblement National (ex Front National) di Marine Le Pen in Francia, o il Vlaams Belang in Belgio; e poi altri, come la Lega di Salvini o Vox in Spagna che, pur non avendo quel background, sono partiti da posizioni identitarie e non liberiste che, col tempo, sono diventate radicali.
«Non esiste una destra radicale complessiva, ma un contesto frastagliato e vario, complicato anche dalle alleanze politiche a livello europeo – spiega a Bet Magazine lo storico ed esperto di destre europee Elia Rosati -. In questo quadro è possibile individuare diversi livelli, che creano di fatto una convergenza fra partiti identitari, xenofobi, nazionalisti, fino ad arrivare a quelli dichiaratamente neofascisti». Il primo livello è costituito dai partiti storici di estrema destra (i quali spesso fungono da catalizzatore alle nuove formazioni giovanili): oltre al Ressemblement National, il Vlaams Belang e i Democratici Svedesi, c’è l’Fpö in Austria, Fratelli d’Italia e Lega. Vi sono poi le formazioni e i movimenti di estrema destra, come CasaPound in Italia o Alba Dorata in Grecia, che fanno da satelliti ai grandi partiti. Infine, il più preoccupante è il sottobosco carsico ma violentissimo di bande, lupi solitari, forum internet e circoli ristretti, da cui provengono personaggi come Anders Breivik e Stephan Balliet. Quasi sempre questi soggetti hanno contatti, anche se sporadici, con i gruppi giovanili.

«L’errore più grande è pensare che le grandi realtà attive in politica possano rendere democratiche le frange più estreme – continua Rosati -. È invece vero il contrario: i grandi partiti fungono da “ombrello” per le altre realtà più piccole e su di loro riflettono la loro luce, rafforzandone l’identità». A monte, la posizione geografica e la storia di ogni Paese influiscono profondamente sullo sviluppo di queste forze. In Europa ecco si possono individuare tre macro-aree. «La prima è quella settentrionale – Danimarca, Svezia, Germania, Olanda e Finlandia -, dove prospera una destra “in doppiopetto” – continua lo storico -: tutti Paesi molto aperti sul fronte dei diritti civili per tutti (lo stesso leader olandese è omosessuale dichiarato), ma estremisti nei confronti degli stranieri e degli immigrati». Diversa è la situazione nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, come Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Estonia, dove l’esperienza democratica è iniziata più tardi che negli Stati occidentali. In quest’area rientra anche la ex Germania dell’Est, dove esiste un estremismo fortemente violento, nazionalista e antisemita. «A causa di una situazione economica instabile e di una povertà ancora presente, in questi Paesi l’antisemitismo e l’odio contro lo straniero sono puri e violenti. Forte è anche la difesa della famiglia tradizionale e quindi l’ostilità nei confronti degli omosessuali». Infine c’è l’Europa del centro-sud, in cui rientrano Francia, Belgio, Spagna, Grecia e Italia: qui, come abbiamo visto, reggono i grandi partiti, affiancati da gruppi molto dinamici. Caratterizza la destra estrema di questa zona il forte legame con il cattolicesimo.

Ma allora, che cosa accomuna le forme della destra in tutti questi diversi Paesi? «Innanzitutto, l’avversione e la lotta contro l’immigrazione – spiega Rosati -. C’è poi la difesa della famiglia, anche se intesa in modo differente: se in Polonia essa è solo eterosessuale e tradizionale, in Olanda e in Scandinavia viene posto un maggiore accento sul discorso del Welfare famigliare. Ma soprattutto c’è la difesa della nazione: il “nostro popolo” prima di tutto e tutti».