C(o)ronaca in quarantena, da Tel Aviv

Israele
di Raphael Barki, di Tel Aviv
Grazie a D-o siamo tutti sani anche se costretti alla quarantena domiciliare fino al 9/3, quando saranno ormai compiute due settimane dal 24/2, data del rientro dalla nostra vacanza in Italia. L’obbligo di autoisolamento imposto dal ministero della salute israeliano decorre dal 27/2 ed è applicabile ai cittadini israeliani che sono rientrati in Italia dal 13/2 in poi. Già perché se non sei israeliano e arrivi dall’Italia ti rimettono sull’aereo – quasi subito, se ti va bene. Alcuni sventurati a cui è stato negato l’ingresso nel paese hanno dovuto passare la notte in isolamento all’aeroporto su brandine di fortuna rimediate grazie all’intervento dei funzionari dell’Ambasciata italiana in Israele. Ma cominciamo dall’inizio.
Il 12/2 ci imbarchiamo sul volo Ryanair da Tel Aviv a Bergamo. All’arrivo ci accolgono degli operatori in camice verde colle mascherine che, puntando una pistoletta, misurano istantaneamente la temperatura ai passeggeri di tutti i voli provenienti da oltre frontiera, indipendentemente dal luogo d’imbarco. Alcuni parlano di eccesso di zelo, altri si lamentano per la mancanza di un piano di prevenzione mirata. La vacanza in Trentino, trascorsa insieme ad altre famiglie italiane che abitano in Israele, si svolge piacevolmente ma l’ultimo fine settimana si registra il primo caso di contagio a Codogno (21/2) e purtroppo, nella serata di quel venerdì, anche la prima vittima sul territorio italiano. Alla vigilia della nostra partenza i contagiati sono ormai 200 e le vittime sette. Ripartiamo da Bergamo per Tel Aviv lasciandoci alle spalle supermercati presi d’assalto con mascherine e alcolgel ormai introvabili e decine di manifestazioni pubbliche cancellate, incluse quattro partite di calcio di Serie A ed il carnevale di Venezia.
Il 24/2 atterriamo al Ben Gurion. Mia moglie e i bambini hanno il passaporto biometrico e per loro passare la frontiera è un gioco da ragazzi. A me invece, essendone sprovvisto, spetta una coda insolitamente lunga. La poliziotta in maschera (non di Purim) verifica da dove arrivo e quindi come mi sento. E’ chiaro che non si tratta dei soliti convenevoli: la rassicuro e passo oltre. Al lavoro e, per i bambini, a scuola riprende la normale routine. Per poco. Anche se in assenza di sintomi non è ancora previsto l’isolamento per chi è rientrato dall’Italia, i genitori dei compagni di classe dei nostri figli cominciano molto presto a fare pressione anticipando, di fatto, le disposizioni del ministero della salute.
Il 27/2 la direzione della scuola ci chiede di riportare i bimbi a casa in anticipo. In tarda mattinata si registra il primo contagiato in Israele, arrivato dall’Italia in data 23/2 su un volo dell’El Al. In ufficio mi chiedono di andare a casa prima anche se non sarebbe ancora d’obbligo. Poco dopo entra in vigore l’imposizione retroattiva della quarantena di 14 giorni a chi è rientrato dall’Italia nelle ultime due settimane.
Nel gruppo WhatsApp dei genitori degli alunni di prima elementare compaiono diverse espressioni di panico controbilanciate da messaggi rassicuranti e di buon augurio per le famiglie come la nostra, costrette all’autoisolamento. Gli stessi schieramenti si verificano anche tra i vicini di casa. Alcuni, come dobermann, ci chiedono di non osare varcare l’uscio di casa nemmeno per gettare la spazzatura. Altri si offrono di farci la spesa o addolciscono l’isolamento lasciando sul nostro zerbino una vaschetta di gelato.
Il ministero dell’istruzione, attraverso la scuola, ci mette a disposizione un servizio di supporto psicologico. Osservando l’umore gioioso ed il comportamento disinvolto dei miei figli, costretti a non andare a scuola per altre due settimane dopo quelle di vacanza in Italia, e considerato il panico e la diffidenza che dilagano tra il pubblico in libera circolazione, c’è da chiedesi a chi veramente serva un aiuto per affrontare la propria psicosi.
Ieri 2/3 poi si è votato in Israele. Le autorità hanno predisposto sedici seggi implasticati distribuiti in tutto il paese nei parcheggi del Maghen David Adom, per permettere anche alle migliaia di elettori in quarantena di adempiere al loro dovere. Le foto delle tende allestite allo scopo, presidiate da personale imbardato con maschere e camici usa e getta, la necessità di disinfettare tutto prima e dopo ogni operazione di voto e forse anche il rischio elevato di contrarre il virus hanno convinto molti elettori in quarantena a non uscire di casa. Altri hanno approfittato dell’opportunità di prendere una boccata d’aria dopo giorni di clausura. Le lunghe code hanno comunque spinto alcuni a rinunciare e rientrare nel loro isolamento senza votare.
Le autorità religiose raccomandano ai segregati di non presentarsi nei luoghi di preghiera. Si pone dunque il problema di come rispettare alcuni precetti di questi giorni, come ad esempio la lettura in pubblico della parashat Zakhor o della Meghillat Ester.
Alla mia famiglia restano altri sei giorni di isolamento, fino alla vigilia di Purim, quindi a D-o piacendo potremo riunirci con gli altri per leggere la storia della deposizione della corona di Amman, pregando che sia di auspicio per il debellamento definitivo del corona virus.