Quando l’arte diffonde il pregiudizio; dipinti, bassorilievi e sculture che incitano a odiare l’Altro da sé… Un testo importante (ma non esaustivo)

Libri

di Ugo Volli

[Scintille. Letture e riletture]

L’antisemitismo ha una lunga storia nel mondo cristiano, in quello musulmano e anche prima nella civiltà romana ed ellenistica. Tendiamo in generale a pensarlo come un fenomeno religioso o ideologico, a legarlo alla politica e alla teologia, a vederne l’aspetto predatorio e fanatico. Esiste però anche una dimensione testuale e artistica dell’antisemitismo, perché esso si diffonde non solo attraverso prediche fanatiche e processi ingiusti e slogan mortali, ma anche per mezzo di testi letterari, di pensieri filosofici e di immagini artistiche, magari di elevate qualità formali. Che questo sia avvenuto nel corso del Novecento, quando scrittori come Céline, poeti come Pound ed Eliot, filosofi come Heidegger, non solo volgari teppisti “senza pensiero” (per dirla con Hannah Arendt) si sono schierati dalla parte del genocidio, è purtroppo ben noto. Il filo nero dell’odio per gli ebrei va purtroppo molto indietro nell’arte europea, in particolare quella figurativa, risalendo fin verso un millennio fa.

Per questo è interessante leggere l’ultimo libro del grande storico dell’arte Victor Stoichita dedicato a L’immagine dell’altro (La casa Usher, 2019, pp. 175, € 29). Vi si trovano analisi molto sottili della più famosa opera d’arte rinascimentale contro gli ebrei, la “Leggenda dell’ostia sconsacrata” dipinta da Paolo Uccello fra il 1465 e il 1468. Ma si esaminano anche alcune immagini del celebre affresco di Giotto della Cappella degli Scrovegni a Padova (il “Tradimento di Giuda” e la “Visitazione”) e un disegno di Dührer, che contrasta con le opere molto più simpatetiche col mondo ebraico di Rembrandt.

Le analisi di Stoichita sono molto fini, sorrette da una ricchissima cultura visiva e letteraria e da un occhio particolarmente sicuro. Ma il libro ha due limiti. Da un lato è programmaticamente limitato alla pittura rinascimentale e ignora quindi lo sviluppo dell’antisemitismo nell’arte europea, che parte almeno dalle miniature sui grandi manoscritti religiosi dell’XI secolo e dalle immagini scolpite sulle cattedrali coeve, prolungandosi poi fino all’uso massiccio della caricatura antisemita fatta dal nazismo e poi dai regimi arabi e islamici fino a oggi.

Dall’altro lato Stoichita non è interessato alla specificità dell’antisemitismo e anzi lo diluisce in un discorso inevitabilmente generico sull’“immagine dell’Altro” nell’arte occidentale, dove l’Altro può essere “gitano” o turco o “nero”, insomma contrapposto allo “stesso” che sarebbe l’europeo generico. Ma in realtà questa suddivisione ha poco senso: il rapporto di odio teologico nei confronti degli ebrei ha poco a che fare con la subordinazione che a un certo punto la cultura europea sentì per il “Gran Turco” Maometto II o la curiosità, talvolta tinta di erotismo, per figure femminili esotiche, che vengono analizzate nel libro. E gli europei sono ben lungi da essere sempre “gli stessi”. Insomma, per capire l’antisemitismo occorre uscire dall’ideologia politicamente corretta dell’”Orientalismo” alla Said, che inquadra queste analisi. Un libro sull’antisemitismo delle immagini è ancora da scrivere.

 

Paolo di Dono detto Paolo Uccello, Leggenda dell’ostia sconsacrata, ca. 1465, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino