di David Zebuloni
Nei mesi di marzo e aprile i cittadini israeliani si sono dovuti abituare a quello che i media hanno definito il “Bibi Show”. Con una frequenza quasi quotidiana, il premier israeliano Benjamin Netanyahu si presentava nella sala stampa della Knesset, saliva sul podio e in diretta nazionale comunicava i progressi della battaglia al Covid-19. Netanyahu mostrava dunque grafici, spiegava come tossire sul gomito, portava esempi da paesi vicini e lontani, ma non dava indicazioni precise su come affrontare la pandemia e le restrizioni da lui decretate si rivelavano essere spesso amorfe e incomplete. Di conseguenza, migliaia di israeliani si sono confrontati sul web in cerca di qualche risposta, sperando di capire un po’ meglio ciò che stava accadendo. “È permesso uscire per fare sport? Quanto ci si può allontanare di casa? E il cane lo si può portare a spasso?”, si sono rivelate essere le domande più popolari.
Nonostante la confusione generale, Israele pareva essersi salvata dalla tragedia. Nei primi mesi del 2020, mentre l’Europa e gli Stati Uniti contavano decine e decine di migliaia di morti, in Israele erano “solo” 235 le vittime del virus. Un numero astronomico se consideriamo l’importanza di ogni singola vita umana, ma decisamente consolatorio se paragonato alle stragi avvenute nei paesi circostanti.
Il 4 di maggio Benjamin Netanyahu si è presentato davanti alle telecamere di tutte le principali reti televisive nazionali per annunciare che Israele ha vinto il virus. Durante la conferenza stampa Netanyahu ha elogiato i cittadini per la buona condotta, i team medici per gli sforzi compiuti e sé stesso per la leadership impeccabile. Poi ha annunciato che Israele è pronta per tornare gradualmente alla normalità. Come se la parola “gradualmente” non fosse mai stata pronunciata, il giorno seguente il popolo israeliano era già tornato all’era pre-covid, dimenticando in un attimo le regole igieniche e il distanziamento sociale.
Tra un elogio e l’altro, la minaccia di un ritorno del virus era presente nel discorso di Netanyahu, ma probabilmente non è bastata a fermare gli israeliani. In poche settimane le spiagge e i ristoranti di tutto il paese si sono riempiti, gli artisti hanno cominciato ad annunciare le date dei primi concerti e il traffico stradale si è fatto più denso che mai. Secondo le indicazioni di Netanyahu, superati i 250 contagi giornalieri Israele sarebbe dovuta tornare al lockdown, eppure un articolo pubblicato il 23 di giugno sul Times of Israel ha annunciato 377 contagi in un giorno solo ma di lockdown non ha parlato più nessuno. Nel mese di giugno si sono superati i 300 morti totali e sono state di nuovo chiuse molte scuole per limitare i contagi.
“Dopo una crisi economica simile a quella alla quale siamo andati incontro, non vedo come Netanyahu possa fare marcia indietro”, spiega la giornalista Keren Marziano alle telecamere di News12. “Bisogna imparare dagli errori commessi in passato e cercare di fermare il virus senza distruggere ulteriormente l’economia”. Effettivamente, dopo aver concesso l’apertura di scuole, centri commerciali, uffici e palestre, è molto più complicato rieducare i cittadini israeliani all’isolamento e al distanziamento sociale. È molto più complesso chiedere (o imporre) loro di chiudere di nuovo i negozi e le attività.
Secondo l‘Algemeiner, la commissione istituita dal governo per occuparsi del Covid-19 ha approvato una proposta di legge da sottoporre alla Knesset che prevede una multa di 200 o 500 shekel a chi non indossa la maschera in un luogo pubblico. Una soluzione parziale, sicuramente importante, ma non sufficiente secondo molti.
D’altronde, come dice il proverbio, prevenire è meglio che curare e, in questo caso, prevenire il contagio è l’unica speranza che Israele ha per vincere la sua battaglia contro il virus.