di Roberto Zadik
Come affrontare le imminenti feste ebraiche col Covid 19? Una domanda che sta assillando le Comunità a livello mondiale comprese quelle americane. A questo proposito il Times of Israel, martedì 1 settembre, ha pubblicato un interessante articolo su stati d’animo e possibili soluzioni che alcune comunità americane intendono adottare.
Le comunità religiose ortodosse organizzeranno preghiere più “ristrette” e ad alto distanziamento sociale, specialmente nei giorni festivi rigorosi di Rosh HaShanà e di Kippur, in cui sono vietati l’utilizzo della tecnologia e eventuali “preghiere virtuali”. Una situazione davvero complicata per un virus che in sei mesi in America e nel mondo ha contagiato migliaia di persone e che, a livello ebraico, ha cominciato a diffondersi dalla festa di Purim, in marzo.
“Come festeggiare Rosh HaShanà da soli?” è la domanda che nell’articolo si è posta Vanessa Ochs, docente di Studi ebraici presso l’Università della Virginia “Come già accaduto a Pesach, non ci saranno, come in passato, sinagoghe affollate e molti luoghi di preghiera hanno dovuto perfino accorciare la durata delle cerimonie religiose per permettere diversi minianim in successione”. Raccontando particolari inediti sui provvedimenti anti-contagio nelle sinagoghe americane di questi mesi, Ochs ha ricordato come siano stati mesi decisamente duri. L’articolo del Times of Israel ha sottolineato come i lunghi discorsi tipici delle ricorrenze festive siano stati sintetizzati al minimo, le diverse cerimonie settimanali siano state condotte separando con apposite barriere in Plexiglass i cantori dal pubblico, cercando di evitare che il pubblico cantasse a sua volta (visto che cantando è facile emettere goccioline di saliva, una delle vie di trasmissione del virus), e registrando e trasmettendo online le preghiere dei digiuni estivi di Tammuz e Tishà BeAv per impedire rischiosi assembramenti.
Ma cosa potrebbe succedere a Rosh HaShanà quest’anno nelle affollate comunità ebraiche americane? A questo proposito il Rabbino Jason Weiner, officiante presso il rinomato ospedale californiano Cedars-Sinai di Los Angeles, ha ricordato come “più che templi affollati ci saranno raduni di piccoli gruppi di persone per ascoltare il suono dello Shofar nelle zone ebraiche e negli spazi aperti delle varie città”. Wiener ha dichiarato di voler suonare lo shofar coprendone l’imboccatura con la mascherina. Sempre per evitare possibli contagi, intende suonarlo varie volte, in diversi turni, nell’ospedale, invece che in una unica grande cerimonia per dottori, pazienti e le loro famiglie.
“Stanno avvenendo dei cambiamenti radicali a causa di questa pandemia che stanno privando gli ebrei di tradizioni millenarie e anche a Pesach – ha ricordato – sono mancate completamente le cene famigliari che caratterizzano questa festa”. Ruth Balinsky Friedman della sinagoga ortodossa Ohev Solomon di Washington ha espresso la propria amarezza “Il Tempio significa comunione e condivisione e non questa situazione. Dietro la programmazione di molte sinagoghe c’è il timore della diffusione del virus in queste feste e nessuno sa come andrà a finire”. Più speranzoso il Rabbino Adam Zagoria Moffet che, nativo di Phoenix in Arizona ha lavorato per tre anni nella comunità ebraica londinese; ha affermato che “la catastrofe è fonte di creatività nella vita ebraica”.
Un’atmosfera reattiva, quelle delle Comunità ebraiche americane, ma anche tesa, pronta ad avvalersi di tutte le precauzioni necessarie, ma dove prevalgono incertezza, confusione e disorientamento rispetto alle abitudini che fino all’anno scorso sembravano eterne e immutabili e che questa pandemia ha decisamente sovvertito. Nelle sinagoghe americane sono dunque in atto cambiamenti senza precedenti anche se gli intervistati si augurano che lo spirito della festa rimanga.
Rabbi Binyamin Blau, della sinagoga ortodossa Green Road a Clieveland Ohio, ha evidenziato come in questa pandemia si applichino le preghiere della festività di Rosh HaShanà e il suo messaggio di Giudizio Divino sui destini umani. In tema di iniziative, il sito della Boston ebraica www.jewishboston.com ha lanciato l’idea di uno “Shofar su prenotazione” elaborata da due rabbini del Movimento Chabad locali, Berel Grunblatt membro del Centro ebraico studentesco e Rabbi Avi Bukiet del Centro per la vita ebraica. Ma di cosa si tratta? L’iniziativa si chiama “Il più grande Shofar” e sarà realizzata da loro assieme ad altri 30 rabbini: consiste in un tour itinerante, in cui i rabbini, su prenotazione delle famiglie, andranno dalla gente a suonare. Un modo pratico per risolvere problemi generati da questo virus, anche se sarà necessario da parte degli interessati inviare una comunicazione via mail in cui specificare giorno, ora e indirizzo dove questi rabbini potranno recarsi per eseguire questa importante mitzvah. Gli organizzatori hanno specificato che gli aggiornamenti e le novità verranno inserite sulle pagine Facebook e Instagram dell’evento e che per rendere possibile tutto questo, a Boston e in tutta la parte occidentale dello stato del Massachussets, è necessario un buon numero di donazioni.