(Nella foto: Viridimura. Credit: Controverso)
di Michael Soncin
“Che cosa può esser che accomuna una star up israeliana o la telemedicina col premio Nobel Rita Levi Montalcini? Io penso che forse siano tutte legate da una tradizione e da un libro, anzi il libro”, afferma, riferendosi alla Bibbia, l’assessore della Comunità Ebraica di Milano Pia Masnini Jarach, nel discorso d’apertura della conferenza Medicina e Scienza, organizzata il 6 settembre per la Giornata Europea della Cultura Ebraica 2020.
Le donne ebree nella medicina del Medioevo ad oggi, ” è il tema del primo dei tre interventi, intitolato “Da Virdimura de Medico e Bella de Paija al premio Nobel Rita Levi Montalcini, riuniti nello spazio Medicina e Scienza. La prima parte ha visto la partecipazione di Anna Foa, docente di storia moderna all’Università La Sapienza di Roma, Paola Govoni, storica e sociologa della scienza, professoressa associata presso l’Università di Bologna e di Monica Miniati, storica e docente presso l’Université di Paris XII e l’École des Hautes Études en Sciences Sociales.
La figura del Rofé, il medico nella Bibbia
Praticamente nella Bibbia c’è già tutto, Pia Masnini Jarach spiega che è proprio lì che si parla per la prima volta di medicina, di malattie, di cure, e tema oggi molto discusso, di profilassi igienica.
Si definiscono i ruoli, perché non esiste solo un tipo di medico, c’è il Rofé (in ebraico: רופא medico), colui che cura, lo specialista, il medico scelto dal tribunale, ci sono gli infermieri, ed infine i sacerdoti che hanno un ruolo di detentori della legge.
“ Sono proprio i sacerdoti cui ci si dovrà presentare in caso d’infezioni cutanee, per essere esaminati affinché essi possano decidere l’allontanamento dell’appestato, dal resto della comunità, mettendolo in quarantena, ed è esattamente quello che facciamo oggi con la pandemia causata dal Covid-19”.
Il lavaggio delle mani, prima del consumo dei pasti è una serie delle tante pratiche descritte nella Bibbia. “Potrà sembrar banale, eppure per secoli non venne fatta, portando lutti e devastazioni”.
“Il Rofé è una delle poche figure che può trasgredire lo Shabbat se deve curare un paziente gravemente ammalato o in pericolo di vita”, e accanto a lui c’è sia posto per gli infermieri che per le donne. “Direi che è straordinariamente moderna la bibbia da questo punto di vista, ha ruoli ben definiti e il più importante di tutti è quello della levatrice”, afferma l’assessore Masnini Jarach, spiegando che da lì ne deriva una tradizione fatta di regole, di profilassi, di medicine che inizia a diffondersi nel resto del mondo con l’inizio della diaspora ebraica, dopo la distruzione del secondo tempio nel 70 dell’era volgare.
“Qui inizia un confronto, uno scambio molto prolifico con le altre culture che rimarranno stupite dall’innovatività delle proposte mediche degli ebrei, tanto che troveremo medici ebrei alle corte di sultani e re”.
La storia non è stata però così limpida e scorrevole, e visti i pregiudizi che vi sono stati nel corso dei secoli, non era cosa facile esser donna ed ebrea allo stesso tempo. “Sappiamo che le donne che praticavano la medicina finivano spesso sul rogo”.
Nonostante tutte le avversità, il popolo ebraico ha continuato a perseguire un vero e proprio amore per lo studio in generale e anche per la pratica della medicina e della scienza, soprattutto da parte della componente femminile del genere umano.
Come si può spiegare tutto questo? «È forse il bisogno di tener fede ai comandamenti, alla tradizione? Di riparare il mondo come ci dice la mistica ebraica, il Tikkun Olam? Sicuramente c’è un filo comune che lega persone ed esperienze nel mondo ebraico», termina l’assessore.
Anna Foa: “Un mondo che ha lasciato nel corso della storia pochissime tracce”
“Maria la Giudea è considerata la prima alchimista e ne parla Zosimo nel IV secolo dell’era volgare, di cui non sappiamo praticamente nulla, tranne che si fa risalire a lei l’idea del bagnomaria e non si sa bene in quale secolo prima dell’era volgare sia ascrivibile, commenta Anna Foa, ribadendo che le donne ebree nel corso della storia hanno lasciato pochissime tracce, ad esempio nei documenti d’inquisizione c’è traccia di donne portoghesi, quindi convertite e tornate di nascosto all’ebraismo che nella Napoli del 1500 traducevano addirittura dell’ebraico. “Non solo c’era una forte acculturazione ma anche una sorta di scuola di traduzione in questo mondo portoghese”.
“Un discorso forse solo parallelo ma interessante è quello della macellazione rituale ebraica, la Shecḥitah, eseguita anche dalle donne fino al 1400, quando in tutta l’Europa della diaspora, la pratica viene fortemente regolarizzata, le donne saranno poi messe al bando, continuando ad esercitarla solo in Italia. Avevano un diploma, per la macellazione rituale ed è in qualche modo già un simbolo di qualche riconoscimento sociale”.
“L’ingresso delle donne del mondo della cultura, della religione, della scienza, in Italia appartiene ad un periodo molto preciso, ed è preceduto da un dibattito molto vivace intorno alla metà del 1800 sull’educazione delle ragazze; a un certo punto quando inizia l’emancipazione, la differenza che si era realizzata fra il mondo ebraico e quello cristiano, portava a qualche difficoltà nel percorso stesso dell’emancipazione”.
Per forza di cose era necessario “adeguare il ruolo femminile nel mondo ebraico a quello che era l’ingresso degli ebrei nella società esterna, cambiando in maniera moderata”.
Anna Foa specifica che la donna in quell’epoca ha un ruolo di mediatrice. Non si arriva mai ad un’emancipazione assoluta e radicale, ma essa mantiene la doppia caratteristica di donna che si emancipa, studiando e facendo studiare le ragazze ma al tempo stesso che trasmette e mantiene l’eredità ebraica famigliare.
Parlando di emancipazione ebraica in Italia, la studiosa nomina Anna Kuliscioff, ebrea di origini russe, che studia lettere in Svizzera, per poi laurearsi in medicina nel 1886 a Napoli. Una personalità alquanto anticonformista. Fuma il sigaro e tra le diverse battaglie portate avanti, vi è quello nel voler riconoscere alle donne il diritto di voto.
Le donne ebree del 1900 ricoprono ruoli di grande levatura. Professoresse, scienziate, docenti universitarie, appartenenti perlopiù ad un ceto borghese. Basti pensare alle figlie di Cesare Lombroso, Paola e Gina. Gina è un medico importante e tramanda la tradizione famigliare, aiutando il padre nei suoi studi. “Pensiamo ad Anna Foà, radiata nel 1938 dall’Università a causa delle leggi razziali, è l’unica di queste donne per importanza, eccetto Rita Levi Montalcini, che arriva ad esser professor ordinario”.
Tra le altre personalità citate nell’intervento dalla storica, spicca la figura di Luisa Levi, sorella di Carlo Levi, che si dedica a studi di psichiatria infantile. Luciana Nissim, grandissima psicanalista, laureatasi in medicina e mandata nello stesso convoglio assieme a Primo Levi ad Auschwitz, dove riesce a salvarsi esercitando il ruolo di medico. Al ritorno, nel dopoguerra dirige la Società di Psicanalisi Freudiana. Pensiamo infine, ritornando alla sopranominata Rita Levi Montalcini che vinse il premio Nobel, per la medicina nel 1986, allieva prediletta di Giuseppe Levi anch’egli un grandissimo scienziato, padre della scrittrice Natalia Ginzburg.
“Questa grande presenza di donne medico –dichiara la professoressa Foa – nel primo novecento italiano fino alle leggi razziali, ci pone di fronte allo stesso problema in cui siamo quando ci troviamo davanti alla grande esplosione di creatività nella Germania e Austria degli anni 30, fatta di letterati e scrittori. Ci troviamo forse davanti allo stesso fenomeno, che non è forse stato studiato abbastanza. Sarebbe interessante cercare di capire quali sono le radici sociali, storiche, di questa grande adesione delle donne ebree italiane al mondo scientifico”.
Una ricerca chiamata “Gender Specific Medicine”
Il corpo della donna e dell’uomo sono diversi, richiedono cure e farmaci diversificati. È questa una delle nuove frontiere in ambito medico. A illustrarlo è la professoressa Paola Govoni che parla di una ricerca che prende il nome di Gender Specific Medicine, “un campo di studi molto vasto, la cui pioniera è Marianne Legato, medico accademico di fama internazionale, di origini ebraiche”. È strano pensare che solo due decenni ci si sia resi conto che vi è una diversa reazione al farmaco tra il corpo maschile e quello femminile. Il caso più banale è quello dell’infarto. Nel passato i medici erano preparati a riconoscere l’infarto sulla sintomatologia maschile, differente dai sintomi che si verificano nel soggetto di sesso femminile.
“L’agenda Gender Specific Medicine, – che per l’appunto è anche il nome della rivista – da più di un decennio si è imposta a livello internazionale, facendoci ripensare al modo in cui il corpo è studiato, quando viene sottoposto a indagine farmacologica”.
La professoressa Govoni fa però notare che la situazione generale dei rapporti tra donne e medicina è generalmente problematica, oggi come in passato.
Ernestina Paper, un’ebrea originaria di Odessa, è la prima donna laureata in Italia, dopo la nascita dello stato unitario.
“All’indomani dell’Unità d’Italia dove vi era un analfabetismo superiore forse al 75%, la prima generazione di laureate si dedica anche agli studi scientifici e medici, con tutte le difficoltà del caso”. La Kuliscioff ad esempio, tenta di lavorare all’ospedale a Milano ma viene in seguito respinta in più occasioni.
In un articolo pubblicato nel 1902 dal mensile “Il Vessillo Israelitico”, si evince che di questa prima generazione di laureate in Italia, il 9% e cioè ben 21 del totale, erano ebree.
L’ambiente con il quale si trovavano ad operare era di grande chiusura. “Era chiamata “medichessa” le donna che studiava medicina, lo si vede dal Dizionario della Lingua Italiana di Tommaseo del 1871, noto cattolico, anti-evoluzionista, nei cui esempi si nota un disprezzo profondo”. Scrivendo addirittura sulla voce medichessa che “una suora di carità risica di saper far meglio”.
“Queste prime donne, trovano anche degli uomini solidali, la Kuliscioff nel laboratorio di Camillo Golgi può liberamente condurre le sue ricerche, nonostante le sommese in piazza che vogliono cacciarla via”.
Un’altra grande donna menzionata è Evelyn Fox Keller, nasce come scienziata, e diventa in seguito una grandissima studiosa di questioni di genere, ricoprendo il ruolo di docente di Storia e Filosofia al MIT. “Femminista, lascia la fisica, quando si accorge di essere in un mondo misogino di uomini nella Harward degli anni cinquanta e sessanta. Controversa figura, ha sempre invitato a ricordarci che il nostro obiettivo e di andare oltre le questioni di genere, appartenenza culturale e di classe”.
Un coraggio tutto al femminile
“Anna Fishman, conosciuta come Anna di Vestea, si iscrisse al sesto anno di medicina a Pisa nel 1892, ottenendo in seguito la cittadinanza italiana, l’accomuna alla Paper il fatto che provenisse dalla ricca borghesia ebraica di Odessa, dove c’era una comunità italiana importante”, sottolinea la professoressa Monica Miniati, “si trattava di una borghesia molto attenta alla cultura europea”.
Furono tanti i temi toccati Dalla di Vestea che all’epoca erano considerati alquanto controversi. Non si fece nemmeno intimidire, quando decise di parlare di fronte ad assemblee prevalentemente composte di uomini, di temi scottanti come l’educazione sessuale.
«Essendo che le malattie veneree stavano dilagando disse che c’era il bisogno di un’educazione sessuale precoce, facendo un discorso legato alla coeducazione, argomento di scontro e dibattito fuori e dentro la comunità. Parlava di abolizione della prostituzione, e soprattutto d’igiene, disciplina che all’epoca era ancora in fase di sviluppo».