Caro lettore, cara lettrice, ad accogliere l’inizio di questo nuovo anno ci sono le cronache beneauguranti di una pacificazione in atto, quella dell’accordo tra Israele, Emirati e Bahrein, di un nuovo assetto strategico che scrive una inedita pagina di storia nella vicenda tormentata di questo angolo di mondo; vediamo immagini che aprono una crepa in quel muro di disillusione e acredine che credevamo insanabile, oggi smentito dai filmati di uomini in jellaba bianca e candida kefia che danzano festanti a braccetto di ebrei ortodossi in soprabito nero (un filmato che ha fatto il giro del mondo): saranno anche immagini un po’ teatrali, sarà magari un po’ propagandistico, ma è reale, è tangibile. Finito lo scetticismo, finito il disincanto. C’è l’aereo della El Al che atterra su un suolo arabo e le rotte del cielo che si spalancano; c’è la legittimazione istituzionale di rapporti commerciali, tecnologici e economici che di fatto, sotto banco, sono al lavoro già da tempo. C’è un sigillo, ci sono delle firme, ci sono sorrisi e strette di mano, è proprio così, è proprio vero. Qualcosa è cambiato, qualcosa può cambiare.
Questo mese di ottobre si porta via le ultime nostalgie dell’estate e sospinge via anche i cascami di un anno segnato da lutti, paura, insicurezza e da un deficit di progettualità come non avevamo mai conosciuto. Per mesi, tutto in stand by. Abbiamo vissuto lo smarrimento, il momento in cui tutto crolla addosso a chi non ne ha colpa, a chi è indifeso davanti a qualcosa più grande e violento di lui; alcuni ce l’hanno fatta, altri no, lasciando vuoto e silenzio. Un ottobre di paure ancora non sopite, paure che come cibo avvelenato nutrono ancora le nostre incertezze; pattiniamo su un ghiaccio sottile senza sapere dov’è la crepa e se si produrrà, con ancora l’idea di camminare lungo il filo di un burrone, tampone e test sierologico a portata di mano.
Il filosofo Zygmunt Baumann la chiamava paura liquida, ossia qualcosa di invisibile e sfuggente, quasi metafisico, che è il nome che diamo a ciò che non sappiamo, al nostro zoppicare a tentoni lungo una strada non definita e male illuminata.
Eppure, questo è anche un ottobre di speranze, forse di pacificazione, di piccole progettualità che a poco a poco ridisegnano le nostre giornate: è un imparare a vivere sotto
una capanna guardando il nudo cielo sopra la testa e il deserto là fuori. La sukkà in fondo non insegna l’importanza di cercare la gioia anche nell’incertezza estrema di un tetto di frasche? La melodia dello shofar si è appena spenta, l’eco del corno ancestrale che chiama al risveglio dell’anima intorpidita ci sollecita al reset interiore e fattuale, a nuovi programmi e piani d’azione, alla progettualità, appunto.
Qualcosa è cambiato, qualcosa può cambiare. Vuoi far ridere Dio? Parlagli dei tuoi progetti, recita un vecchio adagio ashkenazita. Sarà anche così, l’abbiamo capito. Eppure, il fatalismo non è mai stato una qualità ebraica; per questo si inseguono miracoli, per questo si perseguono strette di mano e accordi di pace che sembravano impossibili, per questo ogni anno costruiamo la sukkà e ci mangiamo dentro anche quando piove.
Fiona Diwan