di Roberto Zadik
E così, dopo questi mesi così difficili fra pandemia e polemiche, Woody Allen esce con la sua nuova opera, in cui torna a riflettere sul cinema e sulla vita. Da giovedì 6 maggio, in concomitanza con la parziale riapertura delle sale, arriva sugli schermi, dopo un ritardo di oltre sei mesi causa Covid, Rifkin’s Festival il 48esimo film firmato da questo acclamato regista ebreo newyorkese, con la fotografia di Vittorio Storaro. Una coproduzione Italia-Spagna realizzata da The Mediapro Studio, Gravier Productions e Wildside che ha debuttato al Festival di San Sebastian (dove la storia è ambientata) lo scorso settembre.
Personaggio estremamente intenso e complesso, il regista e sceneggiatore è famoso per l’instancabile creatività dimostrata nella sua lunga e luminosa carriera. Autore estremamente originale e raffinato, passato alla storia per il brillante sarcasmo delle sue battute e la spiccata vena intimista, mostrata in capolavori come Io e Annie, Manhattan e Zelig che dagli anni’70 ad oggi l’hanno reso un autore molto più apprezzato in Europa che nella sua America, Allan Steward Konigsberg in arte Woody è dunque pronto a rimettersi in gioco.
Ma di cosa tratta Rifkin’s festival e quali sono le sue peculiarità? Ambientato nella cittadina iberica di San Sebastian, la pellicola si concentra, non a caso, su un turbolento rapporto di coppia, quello dell’ex professore cinefilo Mort Rifkin (interpretato da Wallace Shawn) con sua moglie Sue (nella parte l’attrice ebrea californiana Gina Gershon, famosa per il suo ruolo nei panni della stilista Donatella Versace nella serie tv The House of Versace). Al centro dell’intreccio la relazione parallela di Sue, addetta stampa di cinema, con il presuntuoso e fascinoso regista francese Philippe, conosciuto sul lavoro. Ne derivano tormenti che solo l’inesausta passione per il cinema e la cultura del suo protagonista Mort, alter ego di Allen, riesce a soffocare.
Bandito (forse) dai cinema americani per le false accuse di molestie intentate dalla ex moglie Mia Farrow (accuse archiviate “perché il fatto non sussiste” dalla giustizia USA), il film è stato finora distribuito solamente in alcuni Paesi europei, dalla Spagna alla Russia all’Olanda e ora arriva anche in Italia, Paese al quale il celebre regista è sempre stato legato, come dimostra, oltre al successo registrato in questi anni, la fruttuosa e quarta collaborazione con il grande direttore della fotografia romano Vittorio Storaro, presente anche in questa sua ultima fatica e celebre per film importanti, vincitore di tre premi Oscar per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore.
Dialoghi scintillanti, anche se a quanto pare più seri e meno pungenti, lucidità di analisi e di osservazione e riflessioni esistenziali profonde e spesso amare su questi suoi ultimi anni, sono fra gli ingredienti di questa nuova opera che si preannuncia estremamente interessante. Woody Allen così ricomincia dalla sua amata Europa, reduce dal successo della sua autobiografia A proposito di niente. (Qui il nostro Podcast sul tema)