di Michael Soncin
“Dobbiamo essere vicini a chi ha un aborto spontaneo ma anche vicini a chi lo cerca”. Parole della biologa Rosanna Supino pronunciate durante l’incontro “Aborto – Problemi bioetici dell’inizio della vita” avvenuto su zoom domenica 9 maggio, organizzato da Kesher e da Paola Boccia, con la Comunità Ebraica di Milano – CEM e con l’Associazione Medica Ebraica – AME.
Hanno presenziato all’incontro Pia Masnini Jarach, vice assessore alla Cultura della CEM; Rosanna Supino, presidente di AME; Luciana De Lauretis, ginecologa; Gianfranco Di Segni, rabbino e biologo.
Un argomento estremamente delicato
Prima di entrare nel merito della delicatissima questione dell’aborto, la dottoressa De Lauretis ha fornito delle premesse scientifiche descrivendo le varie fasi dello sviluppo embrionale, dando poi la definizione di aborto spontaneo e aborto volontario. “L’aborto spontaneo è un‘interruzione accidentale e non voluta prima che il feto sia in grado di sopravvivere fuori del corpo della madre, il volontario è un’interruzione voluta della gestazione che risponde nel nostro Paese a tutta una serie di regole previste dalla legislazione corrente”, ha spiegato De Lauretis.
Da prendere in considerazione vi sono anche gli aspetti psicologici che lo riguardano. Cosa succede quando una donna vive l’esperienza dell’aborto in generale e in particolare quello spontaneo? “La donna – continua De Lauretis – durante la gravidanza comincia a costruire dentro di sé uno spazio, una culla per il bambino che verrà, che non c’è ancora, ma che fa parte di un immaginario che si struttura rapidamente. Nel momento in cui si interrompe una gestazione quello che succede è del tutto sovrapponibile al lutto. La donna vive un senso di fallimento esistenziale non solo nel conservare ma anche nel mettere al mondo una nuova vita”.
Il pensiero del mondo ebraico sull’aborto
“Lo zigote è vivo, come lo è la cellula uovo o lo spermatozoo, ma non è una persona. Secondo la legislazione ebraica la piena capacità giuridica di persona si acquista soltanto al momento della nascita. L’embrione, il feto e anche lo zigote hanno dei diritti, ma non paragonabili a quelli di una persona già nata. Secondo una tradizione talmudica l’embrione prima del quarantesimo giorno dal concepimento non è ritenuto una persona, ma ‘mera acqua’, nel senso che non è visibile a pieno, se non ai nostri giorni con l’ausilio del microscopio. Questo significa che tutto ciò che succede prima dei 40 giorni ha uno status giuridico differente”, ha affermato Rav Gianfranco Di Segni. Definizioni che possono fornire una visione generale del mondo ebraico ma che come lui stesso afferma: “al tempo stesso bisogna anche valutare caso per caso”.
Cosa dice invece la Torà sulla questione dell’aborto? Il tema viene trattato dal punto di vista civile e penale. “Nell’Esodo si parla di un eventuale caso in cui qualcuno procura l’aborto ad una donna incinta e questo atto di procurato aborto è sanzionabile, la Torà parla esplicitamente della pena, ma non come quella dovuta come ad un caso di omicidio. Quindi la Torà stessa prevede già che l’aborto è un atto punibile ma non paragonabile all’omicidio, perché la premessa è che fino alla nascita il feto non è considerato una persona giuridica allo stesso livello della madre”.
Infatti, come ha descritto Di Segni, nel momento in cui è necessario ricorrere all’aborto per salvaguardare la vita della madre, l’aborto terapeutico è autorizzato perché si parte dal presupposto che abbiamo in contrapposizione la vita di una persona che è già persona e la vita – potenziale – ma che non è ancora persona del feto. “Prima dei 40 giorni è già più facile, la capacità giuridica del feto aumenta gradualmente, e diventa completa nel momento in cui – come dice il Talmud – il bambino inizia a mettere la testa fuori e diventa persona a tutti gli effetti. A questo punto il bambino e la madre sono due persone equivalenti, allo stesso livello con eguali diritti”.
Ma il concetto di salute della donna oltre a quella fisica include anche quella psichica. Per cui in certi casi può essere autorizzato l’aborto anche per questi motivi, nelle prime fasi della gravidanza, possibilmente prima dei 40 giorni e in certi casi anche oltre. Ma ovviamente è importantissimo ribadire, come dice Rav Di Segni, che “tutti i problemi devono essere analizzati caso per caso, non si può dare una regola generale”. Questo onde evitare fraintendimenti o pericolose affermazioni fuorvianti in una questione così delicata qual è l’aborto. Ciò che ritorna spesso è proprio la ripetuta questione dei 40 giorni, dopo questo lasso di tempo è tutto più sensibile e ogni casistica, com’è importante ribadire ancora una volta, è unica nel suo genere.
Nelle motivazioni che non permettono l’aborto rientrano in genere le questioni di natura economica e sociale, sempre che non vadano ad avere delle ripercussioni psicologiche sulla donna, che se decide di consultare un rabbino sarà poi lui a valutare il da farsi.
La fecondazione assistita secondo l’ebraismo
In generale, le tecnologie biomediche che fanno sì che si possa arrivare a una gravidanza, sono ammesse. Pratiche come ad esempio l’inseminazione artificiale, ma anche quelle più attuali che riguardano la fecondazione omologa ed eterologa. “Non è un caso che la maggior parte degli utenti delle cliniche in cui si mette in atto la procreazione assistita siano proprio i religiosi, gli ultraortodossi”, vista la grande importanza che viene data alla vita.
Rav Di Segni ha infine ricordato un episodio, legato agli anni della Shoah, avvenuto nel 1942 nel ghetto di Kovno quanto le autorità tedesche decretarono che ogni donna ebrea incinta sarebbe stata uccisa, e uno dei rabbini di quell’epoca stabilì che l’aborto era permesso per poter salvare la madre (anche se poi viste le circostanze, negli anni successivi la maggior parte di loro sarebbe morta ugualmente con estrema probabilità). “La cosa importante è il fatto che questa legge rabbinica sia stata fatta, a dimostrazione che la tutela della madre ha la prevalenza sulla tutela del feto”.
Si rimanda al link (clicca qui) del video per vedere l’intera conferenza.