Lord Balfour

Le ridicole scuse del Guardian e l’assurdo “pentimento” per la dichiarazione Balfour, a 100 anni di distanza

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] La cosa più inutile (e dannosa) che può fare un quotidiano di informazione? Andare a cercare tutti i suoi errori di giudizio. Non quelli di pochi giorni prima: correggere un abbaglio – appena lo si riconosce – è senz’altro doveroso e commendevole. Ma tutto cambia se gli “sbagli” che si vogliono correggere appartengono a un’altra era, un’era durante la quale una determinata opinione appariva in una prospettiva del tutto diversa rispetto all’oggi. Prendiamo il Guardian, pubblicato in Gran Bretagna e conosciuto a livello internazionale. Rimarcando i propri 200 anni di storia, è andato a cercare quegli eventi “giudicati con il metro scorretto” nel passato anche lontano. Quali? A noi interessa uno in particolare: la Dichiarazione Balfour, ovvero quell’atto del governo di Londra che nel 1917 legittimò le aspirazioni sioniste in Terra di Israele, aspirazioni che divennero diritto internazionale quando, alla Conferenza di Sanremo (1920), la lettera di Lord Balfour fu annessa al Mandato sulla Palestina assegnato proprio alla Gran Bretagna.
Il Guardian, senza nemmeno preoccuparsi del ridicolo in cui incorre, sostiene, nel 2021, che “appoggiare come abbiamo fatto la politica in Palestina in favore dei sionisti è stato un errore tanto… più evidente se osserviamo come Israele oggi non sia certo il Paese che il Guardian allora preconizzò o avrebbe voluto” vedere nascere. La conclusione che traiamo da questa frase è che gli ebrei hanno costruito uno Stato “moralmente fallace” e che dunque meglio sarebbe stato non avere aiutato la sua fondazione.

A parte il fatto che i britannici, Dichiarazione Balfour a parte, hanno fatto ben poco per favorirne la creazione: in certi momenti, al contrario, hanno impiegato tutta la loro capacità militare per prevenirla (e pensate quante anime sarebbero potute sfuggire alla Shoah: nessun rimorso verso le vittime dei nazisti? Che ne pensa il Guardian alla luce del dramma attualissimo dei tanti che arrivano in Europa dall’Africa?).
Occorre tuttavia aggiungere una considerazione fondamentale: in base a quale metro di giudizio il quotidiano della sinistra britannica si permette di giudicare lo Stato di Israele (che è fatto da nove milioni di cittadini molti dei quali non sono ebrei ma cristiani e musulmani)? Immaginiamo che la “Start-Up Nation” non sia stata presa in considerazione. E nemmeno il Paese che durante la guerra civile in Siria curava gratuitamente i feriti (civili e no) mettendo da parte ogni considerazione politica. Dunque che cosa fa dire al Guardian che “Israele è un errore”? La risposta è evidente: il trattamento dei “palestinesi”. Il concetto di fondo è che gli arabi presenti in Palestina un secolo fa siano stati “traditi” dal governo di Sua Maestà, e che questo tradimento abbia portato gli ebrei a “prevaricarne i diritti”.
Certo, un modo davvero curioso di rileggere la Storia.
Come se l’unico conflitto da considerare da un punto di vista morale sia quello tra ebrei e arabi nella Terra di Israele. Come se il mondo intero non sia una sequenza infinita di guerre, qualche volta vinte, qualche volta perse, di tutti contro tutti. Come giudicare, oggi, l’esistenza degli Stati Uniti, fondati sul genocidio degli autoctoni? Come dite? Allora erano considerati selvaggi? Sono passati tanti secoli e dunque è Storia fatta? E che dire allora dell’Australia? Che fine hanno fatto gli aborigeni? O i maori della Nuova Zelanda? Certo, i contemporanei hanno chiesto più volta “scusa” ai (pochi) discendenti dei sopravvissuti alla “sostituzione” su terre considerate “vergini”.
Gli ebrei, al contrario, non hanno sostituito nessuno. Chi non è fuggito (nel 1948, perché prima, grazie allo sviluppo economico, migliaia e migliaia di arabi sono immigrati dai Paesi vicini e lontani nella Palestina Mandataria) è diventato cittadino dello Stato di Israele con pieni diritti.
Francamente, siamo stufi di sentire e leggere affermazioni tanto banali e offensive. Israele non sarà perfetto: esattamente quanto gli altri Paesi del lontano Occidente. Ma nessuno può dire che sia uno Stato “immorale”, o che la sua nascita sia uno “sbaglio”. Perché chi lo fa entra nell’universo degli antisemiti: e questo sì è un errore storico.