di Paolo Castellano
La seconda parte del 2021 è l’occasione del ritorno al voto di due importanti paesi del Medio Oriente, Siria e Iran. Mentre il primo ha già raggiunto un risultato elettorale, confermando al potere Bashar al-Assad, il secondo aprirà le urne il 18 giugno per eleggere il successore dell’attuale presidente della Repubblica islamica dell’Iran Hassan Rouhani. Per capire i futuri equilibri interni delle due nazioni, Mosaico ha intervistato Carlo Panella, giornalista de Linkiesta ed esperto di questioni mediorientali.
In Siria Bashar al-Assad ha trionfato con il 95,1% dei voti. Come si può commentare questo risultato?
Le elezioni presidenziali in Siria e in Iran sono due prese in giro: due Paesi autocratici e alleati. Particolarmente rivoltanti sono state le elezioni in Siria che si sono concluse con il risultato bulgaro al favore di Bashar Al-Assad, che ha semplicemente messo il sigillo formale non riconosciuto dalla Comunità internazionale al massacro che ha compiuto esattamente per 10 anni.
Il Paese è stato distrutto dalla sua volontà di rimanere a qualsiasi costo al potere, di non fare le riforme e di non ascoltare le proteste popolari. Pensiamo che oggi in Siria ci sono 6 milioni di profughi all’estero e 6 milioni di profughi all’interno: persone che hanno dovuto abbandonare la loro situazione, con 12 milioni di abitanti che necessitano di aiuto umanitario.
Non solo, la Siria di fatto non esiste più. Non è più un paese unitario perché Assad controlla Damasco, Aleppo e poche altre città. Ha dovuto rimanere al potere per pagare l’intervento russo e ha dovuto cedere l’enclave dei due porti di Latakia e di Tartus alla Russia. Da parte sua la Turchia ha preso una fascia di rispetto del territorio settentrionale della Siria, accanto alla quale c’era una fascia che è controllata dai Curdi. Poi non dimentichiamo che nella regione di Badia l’Isis continua a mantenere la posizione al confine con l’Iraq.
Indubbiamente Assad è riuscito a mantenere il regime alleandosi con la Russia e grazie all’intervento dei pasdaran iraniani. Tutto ciò, come dicevo, al prezzo altissimo di 500mila morti e di disastri sociali che ho descritto. La situazione è incancrenita così come il Paese.
In Iran ci si appresta a votare. Qual è il candidato che ha più probabilità di vincere?
Diversa è la situazione in Iran, nella quale le elezioni presidenziali si presentano ugualmente come una farsa perché nei giorni scorsi sono stati eliminati, anche ufficialmente dalla corsa, tutti i candidati che avrebbero potuto concorrere al successo, in particolare Ali Larijani, ed è stato indicato di fatto un candidato unico, che è Ebrahim Raisi. Ora, bisogna tenere conto che nel sistema istituzionale iraniano si è sempre verificata un’alternanza tra un candidato cosiddetto riformatore e un candidato invece oltranzista.
Così infatti è successo dagli anni ’90, a Mohammad Khatami successe Mahmoud Ahmadinejad, ad Ahmadinejad è succeduto Rouhani, adesso succede questo Raisi. È un personaggio interessante perché è letteralmente un boia, nel senso che è un magistrato che ha sempre occupato le più alte cariche della magistratura islamica. Ha avuto di fatto la responsabilità di centinaia e centinaia di condanne a morte, anche di oppositori, oltre che di reati penali normali. Raisi non ha alcuna esperienza politica ma è stato indicato alla candidatura dal presidente della Repubblica e vincerà sicuramente le elezioni. In questo senso non c’è la minima sorpresa tranne che sulla partecipazione al voto che sarà bassissima per due ragioni: la prima è l’irrigidimento in maniere oltranzista della produzione iraniana sulla trattativa che sta conducendo Joe Biden per riproporre l’accordo sul nucleare, accordo sul quale ci sono delle difficoltà reali, di credibilità, sul fatto che impedisca effettivamente la costruzione della bomba atomica.
Ma questo atto è reso politicamente difficile, proprio grazie all’accordo firmato da Obama che ha consentito all’Iran di sviluppare enormemente un programma di missili strategici intercontinentali in grado di portare la bomba atomica – programma che l’America e l’Occidente non possono accettare e che deve essere smontato. Grazie all’errore di Obama, che firmò questo accordo limitandosi al nucleare, l’Iran ha sviluppato una politica di aggressione regionale attraverso l’utilizzazione in loco di 10-15mila pasdaran iraniani in Siria e in Iraq, oltre ad avere eccitato la rivolta degli Huthi nello Yemen e aver aiutato sempre Hamas a Gaza.
L’Iran grazie all’Accordo sul nucleare, sciaguratamente firmata da Obama, è diventata una potenza regionale. Teniamo conto che tutti i razzi, che sono stati lanciati da Gaza su Israele nelle scorse settimane, siano stati regalati dall’Iran o fabbricati da palestinesi con l’aiuto di consulenti tecnici iraniani e molto spesso lanciati con l’aiuto di consulenti tecnici militari iraniani stessi. Se l’Iran non concorda un abbattimento del suo programma di missili strategici e se non concorda un ritiro dei suoi pasdaran dalla Siria, Iraq, Libano e Gaza sarà difficile che Biden possa firmare un nuovo accordo. Teniamo conto che l’Iran ha dislocato in Siria qualcosa come 10mila missili, molto più efficienti di quelli di Hamas a Gaza, che sono tutti puntati su Israele.
In questo contesto, Raisi garantisce una gestione dello Stato in senso oltranzista, molto più dura quella di Rouhani.
Le reazioni dell’Unione Europea?
L’Unione europea non esiste, come si è visto. Certo, l’UE auspica un accordo ma come si è visto anche nel recente conflitto di Gaza, l’Unione Europea non esiste, non ha una politica estera, che tra l’altro non ha nemmeno statutariamente. L’UE non è parte in causa su nessun terreno di crisi, neanche sulla Libia, per dirne una. È un’ameba priva di cervello in politica estera.
Russia e Cina; dopo le elezioni Siria e Iran potrebbe esserci una collaborazione più intensa tra questi Paesi?
C’è naturalmente un avvicinamento dell’Iran, tradizionale, a fianco della Russia e c’è sicuramente una serie di abboccamenti dell’Iran con la Cina, che ha aiutato l’Iran a eludere le sanzioni decise da Donald Trump. Questo è una cosa ovvia. A fronte del blocco occidentale l’Iran cerca e trova appoggio in Russia e Cina.