Cannes: successo per il cinema israeliano. Al polemico “Ahed’s Knee” il premio della Giuria

Spettacolo

di Roberto Zadik

Il  cinema israeliano è in prima fila nelle grandi manifestazioni, vista la qualità e la varietà dei suoi contenuti. Viene premiato più che in patria nei festival internazionali, specialmente se si tratta di un certo tipo di pellicole politicizzate e fortemente anti establishment. È il caso del film Haberech-Il ginocchio di Ahed del regista Nadav Lapid che, come hanno annunciato il sito Ynetnews e il Times of Israel, durante il Festival di Cannes conclusosi sabato sera, ha ricevuto il prestigioso Premio della Giuria.

E così dopo Ari Folman con il suo Dov’è Anne Frank un altro cineasta dello Stato ebraico viene applaudito fuori dai suoi confini. Come hanno evidenziato vari siti, il regista 46enne ha vinto vari premi, come nel 2019 al Festival di Berlino per il suo Synonims (Sinonimi) che raccontava di un israeliano che, emigrato a Parigi, cercava di smarrire la propria identità di israeliano per immergersi nella società francese.

Questa sua nuova opera invece intende riflettere, secondo il tono aspro e polemico di questo regista, sulla libertà artistica e sui suoi limiti in una storia che, basata su una vicenda reale, è ambientata in uno sperduto villaggio nel deserto. Il lungometraggio racconta delle vicissitudini di Y, alter ego del regista israeliano (interpretato dall’attore Avshalom Pollak) coinvolto in una serie di colpi di scena, come l’incontro con Yahalom, ambiguo Ministro della Cultura, che gli creerà non pochi problemi, e alle prese con varie peripezie come la morte di sua madre e altre sorprese. Lapid era presente a Cannes anche con un corto, The Star.

Date le sue posizioni fortemente critiche verso la politica israeliana, Nadav Lapid è un personaggio sicuramente complesso che ricorda artisti israeliani antisistema molto popolari all’estero e contestati in patria come la cantante Noa o i registi Riklis, lo stesso Folman che fece molto discutere con il suo Valzer con Bashir e soprattutto Amos Gitai che suscitò sia grandi elogi sia aspri dissensi con film a dir poco difficili. Come ha ribadito Ynetnews ad attirare l’attenzione della critica al Festival, non è stata solo la pellicola, che si è classificata terza, mentre a vincere la Palma d’Oro è stato il film francese Titane di Julia Ducornau, ma anche il discorso pungente di Lapid. Egli si è soffermato sul problema della censura istituzionale nell’arte e su come “essa entri talmente dentro chi la subisce che spesso sono gli artisti a censurare loro stessi. La censura è come un ombra che ti entra dentro”.

Tuttavia, non tutti i critici cinematografici hanno apprezzato: per esempio Vittorio De Agrò scrive: “Ahed’s Knee e The Star sono due progetti folli, eccessivi, caotici. Nel primo emergono sentimenti di rabbia contro il governo israeliano e l’ipocrisia politica nei confronti della cultura, disprezzata ma anche utilizzata come strumento di manipolazione. Un manifesto di protesta, costruito però su toni esagerati e senza una chiara cornice narrativa”.

Insomma, viene il sospetto che certi “artisti” israeliani siano sopravvalutati in Occidente soprattutto quando portano acqua al mulino degli anti-israeliani.

 

 

Foto: grazie a paroleacolori.com