Parashat Chayè Sara

Parashat Chayé Sara. Il valore del Khessed, la gentilezza, nella tradizione ebraica

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Nel 1966 un ragazzo di colore di undici anni si trasferì con i genitori e la famiglia in un quartiere bianco di Washington. Seduto con i suoi due fratelli e le sue due sorelle sul gradino d’ingresso della casa, aspettò di vedere come sarebbero stati accolti. I passanti si voltarono a guardarli, ma nessuno rivolse loro un sorriso e nemmeno uno sguardo di riconoscimento. Tutte le storie spaventose che aveva sentito su come i bianchi trattavano i neri sembravano vere. Anni dopo, scrivendo di quei primi giorni nella loro nuova casa, disse: “Sapevo che non eravamo i benvenuti qui. Sapevo che non ci sarebbe piaciuto qui. Sapevo che non avremmo avuto amici qui. Sapevo che non avremmo dovuto trasferirci qui. . .”

Mentre pensava, una donna bianca che tornava a casa dal lavoro passò dall’altra parte della strada. Si rivolse ai bambini e con un ampio sorriso disse: “Benvenuti!” Scomparsa in casa, ne uscí pochi minuti dopo con un vassoio carico di bibite e panini che portò ai bambini, facendoli sentire accolti. Quel momento – scriverà poi il giovane – gli ha cambiato la vita. Gli diede un senso di appartenenza che prima non aveva. Gli ha fatto capire, in un momento in cui le relazioni razziali negli Stati Uniti erano ancora tese, che una famiglia nera poteva sentirsi a casa in una zona bianca e che potevano esserci relazioni daltoniche. Negli anni imparò ad ammirare molto della donna dall’altra parte della strada, ma è stato quel primo gesto spontaneo di saluto che diventò, per lui, un ricordo definitivo. Ha abbattuto un muro di separazione e ha trasformato gli estranei in amici.

Il giovane, Stephen Carter (1954-), alla fine divenne professore di legge a Yale e scrisse un libro su ciò che aveva appreso quel giorno. Lo chiamò Civiltà. Il nome della donna, scrisse, era Sara Kestenbaum, ed è morta troppo giovane. Aggiunse che non era un caso che fosse un’ebrea religiosa. “Nella tradizione ebraica”, osserva, tale civiltà è chiamata khessed – “il fare atti di gentilezza – che a sua volta deriva dalla comprensione che gli esseri umani sono fatti a immagine di Dio”. La civiltà, aggiunge, “di per sé può essere vista come parte del khessed: richiede infatti gentilezza verso i nostri concittadini, compresi quelli che sono estranei, e anche quando è difficile”. Ancora oggi, aggiunge, “posso chiudere gli occhi e sentire nella bocca, la dolcezza dei panini con crema di formaggio e gelatina che ho trangugiato quel pomeriggio d’estate quando ho scoperto come un solo atto di genuina e senza pretese civiltà può cambiare una vita per sempre.”

Non ho mai conosciuto Sara Kestenbaum, ma anni dopo aver letto il libro di Carter ho tenuto una conferenza alla comunità ebraica nella zona di Washington dove aveva vissuto. Ho raccontato loro la storia di Carter, che non avevano mai sentito prima. Ma annuirono in segno di riconoscimento. “Sì”, disse uno, “questo è il tipo di cosa che farebbe Sara”.

Qualcosa del genere era sicuramente nella mente del servo di Abramo, senza nome nella nostra parashà, ma tradizionalmente identificato come Eliezer, quando arrivò a Nahor in Aram Naharaim, nel nord-ovest della Mesopotamia, per trovare una moglie per il figlio del suo padrone. Abramo non gli aveva detto di cercare tratti caratteriali specifici. Gli aveva semplicemente detto di trovare qualcuno della sua famiglia allargata. Eliezer, tuttavia, formulò una richiesta:
Signore, Dio del mio padrone Abramo, fammi avere successo oggi e mostra bontà al mio padrone Abramo. Ecco, io sto presso questa sorgente e le figlie dei cittadini escono per attingere acqua. Può accadere che quando dirò a una giovane donna: “Per favore, metti giù la tua giara affinché io possa bere”, lei dirà: “Bevi, e abbeverò anche i tuoi cammelli”, lascia che sia lei quella che hai scelto per il tuo servo Isacco. Da questo saprò che hai mostrato benevolenza [khessed] al mio padrone”. (Gen. 24:12-14)

Il suo uso della parola khessed qui non è casuale, poiché è proprio la caratteristica che cerca nella futura moglie del primo figlio ebreo, Isacco, e l’ha trovata in Rebecca.

Rav Simlai (seconda generazione degli Amoraim) ha insegnato: “La Torah inizia con un atto di gentilezza e finisce con un atto di gentilezza. Inizia con Dio che veste il nudo – “Il Signore Dio fece per Adamo e sua moglie vesti di pelle e li rivestì” (Gen 3,21) – e termina con Lui che si prendeva cura dei morti: “Ed Egli [Dio] ha sepolto [Mosè] nella Valle”. (Deuteronomio 34:6). (Talmud Bavli, Sotah 14a)

Khessed: fornire riparo ai senzatetto, dare cibo agli affamati, dare assistenza ai poveri; visitare i malati, confortare le persone in lutto e fornire una degna sepoltura per tutti – divenne costitutivo della vita ebraica. Durante i molti secoli di esilio e di dispersione, attorno a queste esigenze si sono costruite comunità ebraiche. C’erano khvrot, “società amichevoli”, per ciascuno di questi bisogni.

Nella Roma del Seicento, ad esempio, esistevano sette società dedite alla fornitura di vestiti, scarpe, biancheria, letti e coperte calde invernali per bambini, poveri, vedove e carcerati. C’erano due società che fornivano corredi, doti e prestito di gioielli alle spose povere. Ce n’era una per visitare i malati, un’altra per portare aiuto alle famiglie che avevano subito un lutto, e altri per celebrare gli ultimi riti per coloro che erano morti: la purificazione prima della sepoltura e il servizio di sepoltura stesso. Esistevano undici confraternite per finalità educative e religiose, di studio e di preghiera, un’altra raccoglieva elemosine per gli ebrei che vivevano in Terra Santa, ed altre si occupavano delle varie attività legate alla circoncisione dei neonati. Altre ancora fornivano ai poveri i mezzi per adempiere alle mitzvot come le mezuzot per le loro porte, l’olio per le luci di Chanukah e candele per lo Shabbat.

Khessed, dissero i Saggi, è per certi versi superiore persino a tzedakah. I nostri maestri insegnavano: l’amorevole gentilezza [khessed] è più grande della carità [tzedakah] in tre modi. La carità si fa con i propri soldi, mentre la gentilezza amorevole si può fare con i propri soldi o con la propria persona. La carità si fa solo ai poveri, mentre l’amorevolezza può essere data sia ai poveri che ai ricchi. La carità è data solo ai vivi, mentre la gentilezza amorevole può essere mostrata ai vivi e ai morti. (Talmud Bavli, Succah 49b)

Khessed, nelle sue molteplici forme, divenne sinonimo di vita ebraica e uno dei pilastri su cui si ergeva. Gli ebrei compivano gentilezza gli uni verso gli altri perché era “la via di Dio” e anche perché loro o le loro famiglie avevano avuto un’esperienza intima della sofferenza e sapevano di non avere nessun altro a cui rivolgersi. Ha fornito un accesso di grazia in tempi bui. Ha attutito il colpo della perdita del Tempio e dei suoi riti:
Una volta, mentre Rabbi Yohanan stava uscendo da Gerusalemme, Rabbi Joshua lo seguì. Vedendo il tempio in rovina, Rabbi Giosuè gridò: “Guai per noi se questo luogo è in rovina, il luogo dove fu fatta l’espiazione per le iniquità di Israele”. Rabbi Yohanan gli disse: “Figlio mio, non affliggerti, perché abbiamo un altro mezzo di espiazione che non è meno efficace. Qual’è? Sono gli atti di amorevolezza, di cui la Scrittura dice: «Voglio l’amore e non il sacrificio» (Os 6,6).

Attraverso il khessed gli ebrei umanizzavano il destino e credevano, che il khessed di Dio umanizzasse il mondo. Come Dio agisce verso di noi con amore, così siamo chiamati ad agire con amore gli uni verso gli altri. Il mondo non opera solo sulla base di principi impersonali come il potere o la giustizia, ma anche sulla base profondamente personale della vulnerabilità, dell’attaccamento, della cura e della preoccupazione, riconoscendoci come individui con bisogni e potenzialità uniche.

Il defunto rabbino Abraham Joshua Heschel 1907-1972) diceva: “Quando ero giovane ammiravo l’intelligenza. Ora che sono vecchio scopro che ammiro di più la gentilezza”. C’è una profonda saggezza in quelle parole. È ciò che ha portato Eliezer a scegliere Rebecca per diventare la moglie di Isacco e quindi la prima sposa ebrea. La gentilezza porta redenzione al mondo e, come nel caso di Stephen Carter, può cambiare la vita. …
Di Rav Jonathan Sacks zl💝