di Ugo Volli
[Scintille. Letture e rilettura]
La storia ebraica, dalle prime tracce che ne abbiamo nella Torà (la discesa in Egitto di Giuseppe e i suoi fratelli) o dai primi documenti egizi (le cosiddette “lettere di Amarna” in cui certi principi di Canan si lamentano delle scorrerie che subiscono da parte di certi “hapiru” che forse è la prima citazione del nome “ebrei”) dura da 35 secoli, piena di svolte drammatiche e lunghi periodi di oppressione. In generale la si conosce abbastanza poco e anche gli ebrei ricordano solo gli episodi biblici più celebri, legati a protagonisti come Mosè, Davide, Ester, i Maccabei o alle distruzioni del Santuario di Gerusalemme. Ma moltissimi altri momenti sono poco noti ai non specialisti, per esempio quelli del tempo dei re in cui predominava l’influsso egizio, dei quattrocento anni di dominio persiano e poi ellenistico. In particolare sono conosciuti solo superficialmente i rapporti con Roma, una storia lunghissima che inizia nel 161 aev. con la protezione accordata ai Maccabei e si conclude solo con la conquista islamica. All’inizio i romani stringono progressivamente la loro presa sulla terra di Israele per cent’anni e si impadroniscono completamente del paese non nel 70 ev quando distruggono il Tempio, ma già un secolo e mezzo prima. È Pompeo infatti, fra il 67 e il 62 aev, quando il senato romano gli affida l’incarico di imporre il potere romano nel Mediterraneo orientale e con i regni che vi si affacciano, a prendere pretesto dai dissidi interni ai sovrani asmonei per impadronirsi militarmente della Terra di Israele, prendere Gerusalemme, saccheggiare il Tempio, limitare il territorio del regno di Giudea togliendogli la pianura costiera, la valle del Giordano e la Galilea, e lasciargli solo un’indipendenza nominale. Di questa storia normalmente si ricorda solo un episodio politicamente minore ma edificante: la meraviglia di Pompeo nel trovare vuoto il sancta sanctorum del Tempio: una stupefazione che poi in storici romani come Tacito si trasformerà in disprezzo, ma che nella tradizione ebraica è stata presa come segno d’onore per il monoteismo rigoroso. Ma in questa vicenda c’è molto di più: innanzitutto la degenerazione della dinastia asmonea, che fu poi condannata dai saggi del Talmud tanto da non accettare nel canone le storie che riguardavano la rivolta dei loro antenati Maccabei. Ma soprattutto la storia dello sfruttamento che Pompeo e i suoi subordinati esercitavano nei confronti del popolo ebraico e del saccheggio del tesoro del Tempio che fu portato in trionfo a Roma. È molto interessante leggere la ricostruzione che ne fa Luciano Canfora in un libro (Il tesoro degli ebrei, Laterza, pp. 286) che si basa su un uso attentissimo e penetrante delle fonti romane e della discussione storiografica successiva. Canfora è molto attento al rapporto fra mondo ebraico e impero romano, ha dedicato di recente un altro libro a discutere l’autenticità di quel frammento molto citato dalle fonti cristiane delle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio in cui si parla di Gesù di Nazareth (La conversione: come Giuseppe Flavio fu cristianizzato, Salerno Editore). Leggere questi libri, in cui la filologia è usata magistralmente per svelare eventi storici e pulsione ideologiche, è molto interessante, perché illumina con piccoli indizi testuali storie dimenticate o censurate, ma decisive nella vicenda dell’ebraismo.