Vent’anni fa moriva Billy Wilder, leggenda del cinema e asso del giornalismo, come dimostra il nuovo libro Inviato speciale, che raccoglie gli inediti ed esilaranti articoli giovanili di uno dei più grandi registi di sempre. Ricco di reportage e riflessioni personali, e di rare foto che catturano Wilder e la sua cerchia durante questi anni di formazione, il volume rivela la voce di un giovane giornalista che sarebbe poi diventato uno dei più grandi cineasti della storia del cinema.
Più che per le sue abilità tecniche alla cinepresa, Shmuel Wilder, questo il suo vero nome, passò alla storia per la brillantezza dei suoi dialoghi e la forza della sua parola, che animarono le frizzanti commedie, realizzate dal regista fra gli anni Cinquanta e Settanta. Infatti, prima di affermarsi come genio della commedia americana, grazie a pellicole maliziose come Quando la moglie va in vacanza e A qualcuno piace caldo, le cui riprese furono segnate da continue tensioni con Marylin Monroe (a causa delle intemperanze e dei continui ritardi della diva) o a capolavori intimisti come L’appartamento, interpretato da uno straordinario Jack Lemmon, Wilder fu un eccezionale reporter d’assalto.
Un giornalista sempre “sul pezzo” che con la sua prosa, affilata e sintetica, descrisse le atmosfere della Berlino e della Vienna degli anni Venti e il fermento culturale precedente al flagello della Shoah che uccise vari membri della sua famiglia. A raccontare questo lato fondamentale della sua carriera e della sua personalità vitale e impetuosa, il nuovo libro curato da Noah Isenberg Billy Wilder inviato speciale. Cronache da Berlino a Vienna tra le due guerre (La Nave di Teseo, pp. 260, 20 euro, traduzione di Alberto Pezzotta).
Come sottolinea il testo “All’inizio della sua carriera Wilder dimostrò un notevole talento nel catturare l’essenza di personaggi della vita culturale, artistica e politica e, fin da quando aveva 18 anni, si dedicò alla sua passione per la scrittura e il giornalismo”.
Osservatore attento e dissacrante, spirito critico audace e sempre pronto a tuffarsi in nuove avventure, Wilder nacque nella Polonia austroungarica, nella cittadina di Sucha, situata al tempo nella scomparsa regione della Galizia, il 22 giugno 1906 e venne soprannominato “Billy” da sua madre, che “aveva una passione intensa e contagiosa per tutto quanto fosse americano”. Vissuto a Cracovia, l’inquieto Wilder, fin da piccolo, era divorato dall’ambizione e ribellandosi al desiderio del padre Max, ristoratore galiziano che lo voleva avvocato, fuggì giovanissimo a Vienna cominciando il suo vivace decennio giornalistico, dal 1925 al 1933 quando, dopo l’ascesa al potere di Hitler, fu costretto a emigrare negli Stati Uniti.
Studente svogliato di Giurisprudenza, attratto irresistibilmente dalla vitalità culturale della capitale austriaca in quel periodo cominciò a collaborare come reporter del quotidiano Die Stunde con cruciverba, brevi e fulminanti resoconti di fatti di cronaca e articoli su vari personaggi famosi. Con la consueta “faccia tosta” e l’innato “talento per l’esagerazione”, come riporta nel testo Isenberg citando un’intervista di Wilder con Cameron Crowe, egli saltellò fra varie collaborazioni, vivendo intensamente e raccontando il periodo fra le due Guerre mondiali, non solo nella capitale austriaca ma anche a Berlino.
Ma di cosa scriveva il giovane Wilder? Il testo raccoglie una serie di interessanti articoli, suddivisi in tre grandi sezioni; dai resoconti di viaggio fra Venezia, Genova e Monte Carlo, in cui egli sfodera una straordinaria capacità di sintesi e di precisione nel descrivere luoghi e situazioni, a recensioni teatrali e cinematografiche, in cui parla di talenti immortali come Chaplin e Lubitsch, fino a ritratti di personalità dell’epoca, dalla band femminile delle Tiller Girls, al regista ebreo tedesco Von Stroheim al Principe di Galles.
Un testo avvincente che si legge tutto d’un fiato e in cui emerge la verve e la capacità analitica e introspettiva di questo giornalista e regista apparentemente leggero e spensierato ma abile indagatore dell’animo umano, come si vede nelle splendide satire del giornalismo L’asso nella manica con Kirk Douglas e Prima Pagina con la favolosa accoppiata Walter Matthau e Jack Lemmon, uno dei suoi film più riusciti.
Malgrado la predilezione per la commedia e l’umorismo, egli visse tragedie famigliari profonde, come la deportazione e la morte nei lager di vari membri della sua famiglia, dall’adorata madre Eugenia nel campo di Plaszow, famoso per il film La lista di Schindler, alla nonna e al patrigno. Nonostante questo, non affrontò mai apertamente il suo lato ebraico né nei film né nelle interviste. Sposato due volte, visse la maggior parte della sua lunga vita, conclusasi il 27 marzo 2002 poco prima del suo 96esimo compleanno, con la seconda moglie, la cantante americana Audrey Young, scomparsa dieci anni esatti dopo di lui, dedicandosi al lavoro e alla vita famigliare.