di Anna Lesenevskaya
Per l’Ucraina oggi Yom HaShoah ha un nome e un volto, quelli di Vanda Semjonovna Objedkova, nata Vasiljeva. Quando aveva dieci anni sopravvisse all’Olocausto durante l’occupazione nazista di Mariupol. Ma a 91 anni è stata vittima della guerra condotta dalla Russia contro il suo Paese. Objedkova è morta di freddo, fame e sete lo scorso 4 aprile nella città accerchiata e trasformata in macerie, mentre si stava nascondendo con la sua famiglia in uno scantinato.
Nel 1998 Vanda Semjonovna aveva rilasciato un’intervista sulla sua vita e sull’esperienza dell’Olocausto alla USC Shoah Foundation. Si temeva che un VHS con quella preziosa testimonianza fosse andata persa nella casa della famiglia bruciata a Mariupol. Ma qualche giorno fa, l’organizzazione fondata da Steven Spielberg ha pubblicato online la registrazione completa di quel racconto (in russo), che, riascoltato adesso, fa venire i brividi.
“Stavo giocando in giardino, tra gli arbusti di lilla, quando ho sentito il cane abbaiare e gli spari. Il cane è caduto freddato. Avevo paura e non sono uscita fuori. Ho visto due SS entrare nel cortile. Poco dopo li ho visti portare via mia madre. Il papà stava piangendo, cercava di spiegare loro qualcosa. Volevo gridare, ma avevo un lampo in gola. In quell’attimo la mia infanzia è finita, ho smesso di essere bambina”. Così Vanda Semjonovna ricordava il momento quando sua mamma Maria, che era ebrea e lavorava come commessa in farmacia, fu portata via dai tedeschi a maggio del 1942.
I nazisti erano arrivati in città nell’ottobre del 1941 e radunarono tutti gli ebrei di Mariupol che furono fucilati nei pressi del villaggio di Agrobaza. Secondo gli storici, le vittime ebree furono tra 8 e 16mila. Vanda e sua mamma erano riuscite inizialmente a salvarsi spacciandosi per greche. Ma denunciata da un vicino, la donna fu successivamente catturata e uccisa, mentre il padre di Vanda, che non era ebreo, aveva nascosto la bambina con l’aiuto di alcuni amici e parenti fino all’arrivo dell’esercito sovietico nel 1943.
La morte durante l’assedio russo a Mariupol
Come ha raccontato a Mosaico Ljudmila Bejter, l’assistente del rabbino di Mariupol, Mendel Cohen, la notizia della scomparsa di Vanda Semjonovna è stata comunicata da sua figlia Larisa, la quale è riuscita a fuggire dalla città e si è messa in contatto con il rabbino, impegnato dall’inizio della guerra nel salvataggio degli ebrei di Mariupol. “Mia madre non meritava una morte del genere”, riporta le parole di Larisa il sito di Chabad. Con l’inizio dei combattimenti, la famiglia si era rifugiata in uno scantinato di un negozio vicino. “Vivevamo come animali”, ha raccontato Larisa, che fino all’ultimo ha accudito sua mamma, ma poteva fare poco. Dopo la scomparsa di Objedkova, sua figlia con il marito hanno rischiato la vita per seppellirla in un parco vicino.
“Vanda Semjonovna era una personalità di spicco della nostra comunità”, ha raccontato a Mosaico Ljudmila Bejeter. “Quando riusciva, partecipava sempre alla commemorazione delle vittime della Shoah al villaggio di Agrobaza. Ho ancora il suo numero e non riesco a cancellarlo”. Nei suoi ultimi giorni Vanda Semjonovna stava dicendo che quello che stava vivendo nella città occupata dai russi non era paragonabile a quello che vide durante la Seconda guerra mondiale.
Vanda Semjonovna ricordava nella sua testimonianza del 1998 come, dopo la ritirata dei tedeschi, alzò le mani in cielo e si mise a piangere, dicendo: “Davvero potrò guardare il sole, rispirare quest’aria come tutti? Davvero non dovrò più nascondermi e potrò vivere senza che qualcuno mi insegua e minaccia la mia vita?” Purtroppo, verso la fine della sua vita ha dovuto nascondersi e temere per la sua vita di nuovo. Stavolta a causa dei russi, che nel lontano 1943 l’avevano salvata, e ora sono tornati per distruggere tutto.