di Paolo Castellano e Nathan Greppi
Il 10 maggio Shireen Abu Akleh, giornalista 51enne palestinese di Al-Jazeera, è stata uccisa a colpi di arma da fuoco mentre l’esercito israeliano (IDF) stava conducendo un’operazione anti-terrorismo nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Non si conoscono ancora i dettagli e neppure le persone coinvolte nell’omicidio.
Pur non essendo ancora chiare le dinamiche dell’incidente, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha accusato Israele, definendo la morte di Shireen Abu Akleh “un brutto crimine” delle forze israeliane.
Nella mattina dell’11 maggio queste accuse sono state respinte dal premier israeliano Naftali Bennett. Il primo ministro ha sostenuto che in base alle informazioni raccolte dagli israeliani la giornalista di Al-Jaazera sarebbe stata colpita alla testa da una raffica palestinese.
In un filmato diffuso dal Ministero degli Esteri israeliano si nota che la reporter indossava un elmetto e un giubbotto di protezione con la scritta “press”. Come riporta il Times of Israel, Bennett ha poi riferito che durante l’operazione a Jenin si sono udite le urla dei palestinesi convinti di aver colpito un soldato israeliano, “ma nessun militare è rimasto ferito, ciò indica la possibilità che abbiano sparato e colpito un giornalista”.
«Abbas sta incolpando Israele senza alcuna base. Secondo i dati di cui disponiamo al momento, ci sono buone probabilità che dei palestinesi armati, che hanno sparato selvaggiamente, abbiano provocato la sfortunata morte della giornalista», ha dichiarato il primo ministro israeliano.
Lo Stato d’Israele ha poi invitato i funzionari dell’Autorità Palestinese a collaborare a un’indagine congiunta per far luce sul decesso di Abu Akleh. Ciononostante, Bennett ha detto che al momento Abbas non intende farlo.
«Durante l’operazione nel campo profughi di Jenin, i sospetti palestinesi hanno sparato una quantità enorme di proiettili contro le truppe e lanciato ordigni esplosivi. Le forze israeliane hanno risposto al fuoco», si legge in una nota rilasciata dall’esercito dello Stato ebraico.
Sono arrivate anche le dichiarazioni del ministro della Giustizia Gideon Sa’ar: «I palestinesi, come al solito, stanno organizzando una diffamazione sanguinaria contro l’IDF». Di mezzo c’è il fatto che, stando all’autopsia, il proiettile che l’ha uccisa era un 5,56 mm, che viene generalmente usato sia dalle truppe israeliane che dai terroristi palestinesi. Tuttavia, i palestinesi si sono rifiutati di consegnare il proiettile agli israeliani per lasciarglielo analizzare.
«I palestinesi hanno rifiutato l’offerta di Israele per effettuare un’indagine congiunta, e c’è da chiedersi il perché», ha evidenziato Sa’ar. «Penso che il loro rifiuto sia legato al fatto che non abbiano nessun interesse a far emergere la verità».
A seguito della sua morte si è tenuta una lunga processione a Ramallah, per le esequie, mentre in altre città israeliane sono scoppiate diverse proteste da parte della popolazione araba: a Haifa e Nazareth sono state accese nei toni ma relativamente pacifiche, mentre a Gerusalemme Est sono nati degli scontri violenti con la polizia, che hanno portato all’arresto di tre manifestanti palestinesi.
(Photo credits – profilo Facebook di Abu Akleh)