di Claudio Vercelli
[Storia e controstorie] Se non è vero che la storia sia sempre e comunque la voce dell’oggettività è senz’altro plausibile che essa, quando non viene immediatamente piegata alle ragioni dell’ideologia, possa costituire lo strumento attraverso il quale si dà una lettura critica (e quindi costruttiva) alle fonti del passato. Intorno al conflitto israelo-palestinese prima ancora che le mistificazioni e le manipolazioni consapevoli e quindi volute, quel che più pesa è infatti il condizionamento ideologico che lo riveste, oramai da molto tempo, come un involucro inscalfibile. Così nel caso recente degli scontri, peraltro gli ennesimi, rispetto al Monte del Tempio, Har haBáyit. Il fatto che questo luogo condivida la natura di simbolo dei tre monoteismi, sia pure per distinte ragioni, lo elegge a spazio non di conciliazione bensì di conflitto permanente. Soprattutto laddove la più generale contrapposizione tra comunità nazionali assume, per certuni, il significato di guerra religiosa, al pari di un’ordalia.
Perché è un simbolo così importante? Qualche indicazione storica, per l’appunto, può risultare utile. Con la denominazione di Monte del Tempio ci si riferisce all’area murata a forma trapezoidale nella zona sud-orientale della Città Vecchia di Gerusalemme. Le cinta murarie che lo circondano risalgono – quanto meno nella parte inferiore – all’epoca del Secondo Tempio ebraico, costruito alla fine del I secolo a.e.v. Queste enormi strutture di sostegno, in parte interrate, furono erette attorno alla sommità del colle orientale identificato come Monte Moriah, il sito tradizionalmente considerato come il luogo in cui Abramo offrì suo figlio Isacco in sacrificio nonché sede dei due templi ebraici. Gli spazi vuoti tra le mura e il monte furono quindi riempiti per creare un’ampia superficie attorno al Tempio. Evitiamo ai lettori la minuziosa ricostruzione storica dei molti fatti che ruotano intorno ad esso. Va tuttavia ricordato che durante i giganteschi lavori voluti da Erode il Grande, avviatisi intorno al 20 a.e.v. e quindi proseguiti per lungo tempo, l’orografia originaria del Monte del Tempio fu cancellata e venne realizzata quell’ampia area che sarebbe stata conosciuta successivamente come spianata delle moschee. All’interno dell’area del Monte del Tempio trovano sede a tutt’oggi un centinaio di diverse strutture edificate in distinti periodi storici. Con la conquista musulmana di Gerusalemme venne costruita la Cupola della Roccia (Moschea di Omar). In tutta plausibilità la scelta della dinastia degli Omayyadi si inseriva nell’obiettivo di indebolire l’economia della Mecca, sottraendovi pellegrini da indirizzare verso il nuovo centro religioso. Da quel momento in poi, il Monte del Tempio divenne comunque un luogo sacro anche per i musulmani. Aspetto consolidato successivamente dalla costruzione della moschea al-Aqsa («la più lontana»). Il luogo è identificato come l’ultimo santuario (Masjid al-Aqsa) dal quale il profeta Maometto, accompagnato dall’angelo Gabriele, compì il viaggio notturno al trono divino.
L’accesso degli ebrei ai luoghi sacri fu soggetto ad un continuo alternarsi di permessi e divieti, accessi e interdizioni.
Vi furono autorizzazioni a costruire sinagoghe alle quali seguirono bandi ed estromissioni. Durante la dominazione ottomana fu concesso agli ebrei di recarsi a pregare sulle vestigia dei templi, fatto che rinnovò la rilevanza del luogo, pur a fronte di alcune interdizioni rabbiniche. Nel mentre, l’edificazione della Cupola della Roccia (che è parte dell’al-Haram al-Sharif, insieme alla Cupola della Catena e ad altri edifici religiosi) sancì architettonicamente l’ascesa e il dominio dell’Islam, attribuendo al Monte del Tempio anche il carattere di terzo luogo sacro per la religione musulmana, dopo la Ka’ba e la moschea del Profeta di Medina.
L’occupazione giordana della Città Vecchia, durante la guerra d’Indipendenza del 1948, sanzionò l’ennesimo divieto di accesso per gli ebrei ai luoghi santi della Tradizione. Non di meno, Amman si adoperò per violarne la sacralità, di fatto dissacrandone la funzione e rovinando il residuo decoro urbano e architettonico.
Con la vittoria nella guerra dei Sei giorni il controllo diretto fu infine assicurato ad Israele. Il tentativo di accordo tra Moshe Dayan, l’allora ministro della Difesa, e le autorità religiose musulmane, che avrebbe dovuto sancire uno status quo per cui – fermo restando la libera circolazione di tutti i fedeli, la libertà di culto e il vincolo di rispetto reciproco – agli israeliani sarebbe rimasto di competenza l’esercizio delle funzioni di sicurezza, fu tuttavia rigettato. Peraltro, la polizia da sempre vieta agli ebrei di pregare nell’area di pertinenza musulmana, in ciò supportata dai pronunciamenti dei tribunali e dal sostanziale assenso di quasi tutti i gruppi politici presenti alla Knesset.
Attualmente il Monte del Tempio è amministrato dal Waqf islamico, un comitato religioso al quale si affiancano, per le questioni di sicurezza, le autorità israeliane. Dal 2004 è in corso un complesso lavoro di setacciatura archeologica del terreno, con l’obiettivo di ricostruirne, il più verosimilmente possibile, la storia millenaria. Fin qui i fatti, per così dire. Dall’inizio della seconda intifada, ossia nel 2000, la contesa sull’accesso fisico ai luoghi (e sul loro dominio simbolico, in una sorta di esclusività senza possibili condivisioni) si è fatta infuocata, divenendo il fulcro di una miriade di tensioni. Da tempo Abu Mazen va ripetendo che la presenza musulmana sul Monte del Tempio sarebbe a rischio, nonostante le rassicurazioni israeliane. Il calcolato allarmismo del presidente dell’Autorità palestinese è solo l’ultimo esempio di una catena di sollecitazioni. Le quali risalgono a cent’anni fa, quando l’allora gran muftì di Gerusalemme incitava già alla sollevazione contro la presenza ebraica, in quanto profanazione delle prerogative degli arabo-musulmani.
Più in generale, intorno al tema della difficile coesistenza interreligiosa, si è innescata ed è poi proseguita nel tempo una diatriba isterica, accompagnata dall’istigazione alla violenza come da atti di sopraffazione collettiva. Il movente religioso appare quasi sempre come un puro pretesto, dietro al quale si cela la volontà di tenere surriscaldato il fronte politico. Il Monte del Tempio, infatti, è la cerniera tra Israele e la società arabo-palestinese. In un conflitto oramai centenario, che ha assunto nel corso del tempo distinte configurazioni ma che trova al suo centro il discorso dell’identità religiosa come fattore di auto-legittimazione (così come di delegittimazione altrui), la miscela tra insoddisfazione, rancore e impotenza si rivela esplosiva. Se da un lato la denuncia di una lesione intollerabile (la presenza israeliana ma anche, in immediato riflesso, quella ebraica) galvanizza gli spiriti e li coalizza contro un “nemico” descritto come tanto pervasivo quanto pericoloso, la rivendicazione al diritto alla difesa contro la “colonizzazione ebraica” garantisce la possibilità di ottenere una copertura mediatica permanente, giocata sullo standard comunicativo dei “crimini del sionismo”.
Non a caso le autorità palestinesi continuano a ripetere che l’intenzione effettiva dei governi israeliani sarebbe quella di arrivare a distruggere il complesso delle moschee e dei luoghi sacri islamici. Ciò affermando, riprendono e generalizzano il progetto delirante dei “fedeli del Monte del Tempio”, un’organizzazione estremista fondata nel 1967 dall’ex ufficiale dell’esercito Gershon Salomon, che rivendica l’obiettivo di “liberare” l’intera area dall’ “occupazione araba” poiché “la Cupola della Roccia e la moschea di al-Aqsa furono collocate in questo luogo sacro per gli ebrei come segno specifico di conquista e dominio islamico”. Solo con la ricostruzione del Tempio Israele potrà allora divenire un autentico “Stato ebraico”. I tentativi da parte del gruppo di provocare incidenti con la controparte araba sono stati ripetutamente repressi dalla polizia israeliana.
La lacerazione più significativa alla storia ebraica, in ordine di tempo, è tuttavia quella che il comitato esecutivo dell’Unesco ha espresso con la sua risoluzione del 15 aprile 2016, laddove ignora deliberatamente lo storico legame ebraico con il Monte del Tempio. La deliberazione, infatti, si riferisce all’intera area come Moschea di al-Aqsa. Il comitato esecutivo ha inoltre accusato Israele di tutte le violenze avvenute sul Monte del Tempio nei mesi precedenti, omettendo completamente qualsiasi menzione alle aggressioni palestinesi. Se l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu aveva accusato l’Unesco di adoperarsi nel «riscrivere una parte fondamentale della storia umana», rimane il riscontro che il conflitto sui simboli e per i luoghi rimane una miccia potente nello scatenare la guerra dei corpi, quella che somma alle macerie anche i morti.