di Marina Gersony
Tre biografie che portano i lettori e i fan nel cuore delle carriere professionali e delle vicende personali di tre giganti dello star system americano. Autori e registi (anche di se stessi) con alle spalle storie ebraiche di emigrazioni e fughe. Una instabilità, un’erranza geografica e spirituale che portano nelle loro opere
Tre libri tutti da leggere e tre mostri sacri dello star system e dell’entertainment internazionale: parliamo di Mel Brooks, Woody Allen e Billy Wilder, tra i più geniali, divertenti e prolifici artisti dei nostri tempi.
Mel Brooks, il re della commedia
Iniziamo dal libro di Mel Brooks, un’autobiografia torrenziale tutta da ridere con una copertina accattivante e una serie di fotografie inedite del quasi centenario regista, scrittore, produttore, attore, compositore e showman; un artista a tutto tondo tra i pochi ad aver vinto i più importanti premi del mondo dello spettacolo: Emmy, Grammy, Oscar, Tony Award (nel 2016 il presidente Obama lo ha insignito della National Medal of Arts). L’autobiografia Tutto su di me (traduzione di Alice Arecco, La nave di Teseo, pp, 624, euro 22.00, ebook 9,99) è una cascata di aneddoti e di ricordi spassosi che piacerà non solo a chi è cresciuto negli anni ‘60 e ‘70, bensì anche ai giovani che hanno avuto l’occasione di vedere i suoi leggendari film. E come non ricordarli i suoi film, uno più divertente dell’altro, tra i quali gli indimenticabili Per favore, non toccate le vecchiette; Il mistero delle dodici sedie; Mezzogiorno e mezzo di fuoco; Alta tensione o il mitico Frankenstein Junior, con le sublimi gag di Igor- Marty Feldman e i cavalli terrorizzati al solo sentir nominare l’austerissima Frau Blücher. E si potrebbe continuare…
Mel Brooks, al secolo Melvin James Kaminsky (New York, 28 giugno 1926), inizia il racconto della vita ricordando le origini della sua famiglia melting pot; ebrei emigrati dalla Russia e dall’Europa orientale, tra cui la patria transilvana di quel Frankenstein che sarà fonte di memorabili pellicole; e ancora l’adorata madre, Katie Brookman, i tre fratelli maggiori e i tempi in cui lui, giovane Mel, orfano di padre cresciuto a Brooklyn, usava i pochi risparmi per andare al cinema il sabato mattina, inizio di una storia d’amore destinata a durare per sempre. Dissacranti, travolgenti ed esilaranti sono i racconti sotto le armi durante la Seconda guerra mondiale, così come i personaggi e le situazioni vissute nel corso di una carriera folgorante: l’esordio in tv, le collaborazioni con alcuni tra i più rinomati autori come Woody Allen, Carl Reiner, Neil Simon, Larry Gelbart. Senza contare le inevitabili delusioni insite nello spietato showbiz hollywoodiano, le amicizie, le collaborazioni con Sid Caesar, Gene Wilder, Madeleine Kahn, Alfred Hitchcock e l’incontro con il grande amore della sua vita, l’attrice iconica Anne Bancroft. Tutto all’insegna del motto: trasformare la vita in commedia.
Woody Allen, un mito
Non è invece un’autobiografia il libro fresco di stampa di Woody Allen, uscito lo scorso giugno nelle librerie italiane (Zero Gravity, traduzione Alberto Pezzotta, La Nave di Teseo, Collana Oceani, pp. 224, euro 19,00): al contrario di Mel Brooks, la vita e la personalità di Woody emergono soprattutto attraverso la sua formidabile filmografia che sovrappone set e vita privata attraverso grandi metafore, raffiche di battute e fulminanti allusioni, tanto che fare una scelta dei suoi film migliori potrebbe causare un attacco di nevrosi di cui sono vittime i suoi personaggi! Dello scrittore, regista e attore che ancora una volta è sceso in campo scrivendo un libro, sappiamo ormai tutto o quasi, dalla roboante vita privata, al gaio pessimismo cosmico, alle nevrosi galoppanti passando da Freud, le donne, il jazz di New Orleans, il rapporto confidenziale con Dio, il senso di malessere latente, l’ossessione della memoria e del ricordo, tutto filtrato da un pungente e irresistibile humor ebraico. «Allan Stewart Königsberg divenne il simbolo dell’ebreo che diceva a tutti di esserlo pur senza credere nella religione con una visione della vita che riesce a essere sia molto pessimista e insieme atea e tuttavia assolutamente comica e dissacrante», suggerisce Roberto Zadik, giornalista e grande esperto di musica e cinema. In Zero Gravity, una raccolta di racconti umoristici e fulminati, il grande Woody ci sorprende ancora una volta con il suo senso dell’umorismo unico e spiazzante. Sono brani che combinano pezzi apparsi sul New Yorker e una decina di scritti inediti in cui succede di tutto: storie di attori falliti e di mucche assassine, di galline annoiate e di lussuose illusioni hollywoodiane; elucubrazioni sulle origini della ricetta del pollo del generale Tso o su quelle del nodo Windsor; e ancora: la vita sessuale delle celebrità o il talento di un cavallo che dipinge… Si ride molto anche in questo caso, soprattutto in un momento storico difficile come l’attuale in cui il bisogno di leggerezza intelligente è più che mai benvenuto.
Billy Wilder, il genio
Dopo Mel Brooks e Woody Allen non poteva mancare Billy Wilder con il libro Billy Wilder inviato speciale. Cronache da Berlino e Vienna fra le due guerre, curato da Noah Isenberg (La Nave di Teseo, traduzione di Alberto Pezzotta, pp. 260, 20 euro); un libro che raccoglie gli articoli giovanili inediti ed esilaranti di uno dei più grandi registi di sempre. Ricco di reportage, riflessioni personali e di rare foto che catturano l’artista e la sua cerchia durante questi anni di formazione, il volume rivela la voce di un giovane giornalista che sarebbe poi diventato uno dei più grandi cineasti della storia del cinema.
«Più che per le sue abilità tecniche alla cinepresa, Shmuel Wilder, questo il suo vero nome, passò alla storia per la brillantezza dei suoi dialoghi e la forza della sua parola, che animarono le frizzanti commedie, realizzate dal regista fra gli anni Cinquanta e Settanta. Infatti, prima di affermarsi come genio della commedia americana, grazie a pellicole maliziose come Quando la moglie è in vacanza e A qualcuno piace caldo, le cui riprese furono segnate da continue tensioni con Marylin Monroe (a causa delle intemperanze e dei continui ritardi della diva) o a capolavori intimisti come L’appartamento, interpretato da uno straordinario Jack Lemmon, Wilder fu un eccezionale reporter d’assalto», osserva Roberto Zadik, fine conoscitore della storia del cinema.
Wilder nacque nel 1906 a Sucha, città all’epoca austriaca (ora polacca); il nome Billy gli fu affibbiato dalla madre, affascinata dall’America di Billy the Kid. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale Billy si trasferì a Vienna dove intraprese gli studi primari per poi iscriversi alla facoltà di legge che interruppe per dedicarsi a tempo pieno alla stesura di articoli di varia natura. Da quel momento iniziò la sua carriera di giornalista sempre “sul pezzo” che con la sua prosa acuta, affilata e sintetica seppe descrivere lo Zeitgeist berlinese e viennese degli anni Venti insieme al fermento culturale che precedette il flagello della Shoah, dove parte della sua famiglia venne annientata. Wilder, che era diventato famoso nel frattempo, dopo l’avvento di Hitler fu costretto ad emigrare prima a Parigi e in seguito negli Stati Uniti dove giunse senza soldi e senza conoscere una sola parola di inglese. Ma fu anche l’inizio di una carriera in rapidissima ascesa che lo vide partecipare fin da subito alla stesura di Ninotchka (1939) insieme a Ernst Lubitsch, Walter Reisch e altri facenti parte di quella élite di uomini di cinema che lasciarono i rispettivi Paesi nel momento in cui il nazismo iniziava la sua presa del potere. Ninotchka, capolavoro di Lubitsch interpretato da Greta Garbo, fu candidato all’Oscar nel 1939 senza tuttavia ottenere la vittoria. A questo punto non resta che leggere l’appassionante vita Billy Wilder che è anche l’inedito e brillante resoconto di un’epoca.