di Nathan Greppi
Il prossimo 9 ottobre saranno 40 anni esatti da quando, una mattina di sabato del 1982, un gruppo di terroristi palestinesi attaccarono gli ebrei che uscivano dal Tempio Maggiore di Roma con bombe e colpi di mitra, ferendone decine e uccidendo il piccolo Stefano Gaj Tachè, che aveva solo due anni. Su quei tragici fatti, negli anni sono state fatte molte rivelazioni e speculazioni, in particolare sulle responsabilità delle autorità italiane che non difesero la comunità.
Di recente Gadiel Gaj Tachè, fratello di Stefano ed egli stesso superstite dell’attentato, ha scritto un libro sui fatti di quel giorno, Il silenzio che urla. L’attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982 (Giuntina), che è stato presentato mercoledì 21 settembre presso la Camera di Commercio di Roma (si può vedere il video dell’evento cliccando qui). L’evento, moderato dal vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma Ruben Della Rocca, è stato organizzato dal Centro di Cultura Ebraica di Roma.
Nel presentare il libro, Tachè ha affermato che “la gestazione di questo libro è stata molto lunga, complessa e tormentata.” Ha spiegato che per anni ha cercato di rimuovere il trauma preferendo non parlare dell’accaduto, ma “quando ho saputo che esisteva una lista di vittime italiane del terrorismo, nella quale Stefano non era stato inserito, ho cominciato ad arrabbiarmi.” A quel punto, è stato stimolato dal già Presidente della Comunità di Roma Riccardo Pacifici a parlare apertamente di ciò che lui e la sua famiglia hanno passato da quel giorno, con i giornalisti e nelle scuole con i bambini. Infine, nel 2015, in seguito agli attentati terroristici in Francia decise di scrivere un libro, affiancando ai ricordi personali ricerche d’archivio lunghe e approfondite.
Quella dell’attentato è ancora “una storia senza risposte”, come l’ha definita nel suo intervento Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma. Ha ricordato le responsabilità dell’opinione pubblica italiana dell’epoca, che in quei mesi additava gli ebrei italiani come una sorta di corpo estraneo e giudicati per l’operato d’Israele. Dello stesso avviso Rav Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma, che ha definito l’attentato “uno dei misteri dell’Italia insanguinata.” Ha lamentato il fatto che molti archivi sulla questione hanno atteso troppo per essere desecretati, e altri ancora adesso non sono consultabili.