di Marina Gersony
Mostri sacri è il libro postumo dello scrittore recentemente scomparso: un piccolo gioiello di aneddoti gustosi e ricordi di una stagione irripetibile del teatro e della cultura italiana
Siamo agli inizi degli anni 60, Miro Silvera è un ventenne timidissimo con tanti sogni nel cassetto; è schivo ma anche determinato e cocciuto, un fiero ebreo sefardita cosmopolita, dotato di quel “gene anarchico” che attraverserà quasi tutta la sua «folle e sognante eredità ebraica», come racconta egli stesso nel suo libro Mostri Sacri, l’ultimo scritto, un piccolo gioiello di aneddoti gustosi e ricordi di una stagione irripetibile del teatro e della cultura italiana e di cui Silvera –scomparso lo scorso 22 maggio – è stato tra i grandi protagonisti.
Scrittore, saggista, giornalista, poeta e traduttore italiano nato ad Aleppo nel 1942, tra i fondatori del Salone Pier Lombardo – oggi Teatro Franco Parenti diretto da Andrée Ruth Shammah – Miro Silvera si trasferì a Milano nel 1947 per via delle persecuzioni contro gli ebrei in Siria. Dopo gli studi lavorò al Piccolo Teatro di Grassi-Strehler riordinando l’archivio storico e tenendo la segreteria degli Amici del Piccolo. E fu proprio il teatro a forgiare questo giovane curioso e attento, sempre à la recherche, appassionato di cinema: «Di scuole il cinema quel tempo, era il 1963, non ce n’erano, così decisi all’ultimo di presentarmi al saggio di ammissione autunnale per il corso di recitazione del Piccolo Teatro […]. In prima fila trovai a giudicarmi i più grandi nomi del teatro milanese italiano: Giorgio Strehler, Paolo Grassi, Nina Vinchi e Arturo Lazzari, all’epoca suo marito e critico di teatro per l’Unità. Mi accorsi subito di non avere la giusta voce e soprattutto di non aver studiato se non in maniera superficiale la parte». Nel libro il lettore potrà gustare lo straordinario scambio di lettere tra il giovane Silvera e Grassi.
Da quel momento inizia la vita professionale di questo raffinato intellettuale in una Milano che si trasforma e si ingrandisce; una Milano dove si respira un’aria di fermento tra spettacoli teatrali, presentazioni di libri, locali di jazz e cabaret e le cene al Santa Lucia. Silvera in quel periodo abitava al pianterreno di via Lanzone 5. A pochi passi, in via Medici 15, aveva vissuto Paolo Grassi e non lontano abitava Mario Soldati. «Era un’altra Milano – scrive Silvera – una Milano gentile, ricca di Storia. Un portone più in là c’era lo studio del pittore Sergio Dangelo, che regalava qualche volta un piccolo quadretto. I miei genitori abitavano in una bella casa poco lontano in Corso Venezia. A Palazzo Serbelloni era stato aperto il nostro “Club”. Quelle ampie stanze ospitavano gli anni migliori di quel club ebraico che di regola ogni sabato sera si riempiva di belle signore eleganti e giocatori di poker. Lì mio padre giocava sovente con il produttore cinematografico Moris Ergas. L’amicizia del signor Ergas con mio padre s’interruppe quando Ergas si innamorò di Sandra Milo, bella è spiritosa». Scorrono così i ricordi inediti di incontri con personaggi noti o meno noti della scena culturale italiana; “mostri sacri”, appunto, visti da vicino, che il lettore potrà scoprire grazie alla penna vibrante di Silvera: dal mitico Paolo Grassi a Giorgio Strehler e a Franco Parenti; da Milva a Ornella Vanoni; da Inge Feltrinelli a Valentino Bompiani e Mario Schifano… E ancora: Alida Valli, Nico Naldini, Goffredo Parise, Giosetta Fioroni, Frank Capra… Molte le pagine dedicate alla grande amica Fernanda Pivano, al suo travolgente sodalizio amoroso con Ettore Sottsass, senza contare la folta schiera di scrittori e di poeti tradotti da Nanda nel corso della sua vita. Conclude Silvera: «Amare il mio prossimo è stata una grande avventura, forse la più bella che la vita mi abbia concesso ad esercitare. Questo libro è l’esame di una stagione di passioni, passata forse, ma che raccontata può ancora essere vissuta con gratitudine e stupore».
(Foto in alto: Miro Silvera – © Ester Moscati/Mosaico)