di Ester Moscati
Gli strumenti che Adolf Hitler usò per costruire la sua ascesa politica e puntellare la leadership.
L’analisi nel saggio di Davide Jabes, per comprendere, da ebreo e da storico, le ragioni dell’odio nazista
Il personaggio Hitler sono state dedicate ottime biografie storiche, per esempio da Joachim Fest, Ian Kershaw e Volker Ullrich, biografie documentate, monumentali, autorevoli. Ma non per tutti, non “divulgative”, adatte cioè al grande pubblico ma che siano anche impeccabili dal punto di vista storiografico. Troppo spesso, infatti, la divulgazione storica si fa condizionare dalla ricerca del sensazionalismo; cede al mito, al facile appeal dell’esoterismo e del complottismo, a volte addirittura propalando fake news sul rapporto tra il dittatore nazista e gli ebrei. Ben venga dunque questo saggio di Davide Jabes, laureato in Storia moderna all’Università di Siena, dottorato in Storia alla University of York (UK) e consulente scientifico sulla Seconda guerra mondiale e il primo dopoguerra in Italia.
Qui la figura di Hitler viene analizzata nella sua modernità: l’importanza data alla comunicazione e alla propaganda di regime, la ricerca di un consenso idolatrico per soggiogare le masse, l’attenzione al fronte orientale dell’Europa. Si parte da lontano, dall’infanzia e giovinezza del leader nazista, la sua esperienza nella Prima guerra mondiale, la formazione dei sentimenti antisemiti già a partire dal 1919, quando definì la lotta al giudaismo come una scelta razionale, finalizzata all’esclusione di questa “razza aliena” dal corpo germanico. E poi il nefasto dono dell’oratoria, la capacità di dire e dare al popolo ciò che voleva, l’ingresso in politica, a Monaco, e la conquista del potere attraverso il consenso popolare e le elezioni. Fino alla dittatura e alla caduta nel baratro dell’orrore, della guerra e della Shoah. Un glossario, una cronologia e una selezionata bibliografia completano il saggio.