Jonathan Pollard, la spia che visse due volte

2023

 

 

n° 03 - Marzo 2023 - Scarica il PDF
n° 03 – Marzo 2023 – Scarica il PDF

Le informazioni passate al Mossad. La cattura dell’FBI, la condanna, i 35 anni nelle carceri americane. E poi la libertà, il ritorno in Israele, la nuova vita, il matrimonio con Esther.

I suoi report consentirono a Israele di sventare attacchi e terrorismo. «Non mi pentirò mai di aver messo la vita del mio popolo davanti alla mia». Un’intervista esclusiva

 

 

 

 

 

Caro lettore, cara lettrice,

questa è la storia di Najan, una ragazza ebrea, studentessa di Teheran, 18 anni. Najan si nasconde. I suoi genitori non dormono più di notte. Anche lei non dorme, dal mese di settembre gira per casa in preda, talvolta, a tremiti febbrili che le impediscono di prendere sonno. Najan scende in piazza ogni volta che può, per manifestare nel nome di Masha Amini e della libertà; tre dei suoi più cari amici pare siano in carcere e la comunità ebraica sta cercando di mediare per ottenerne la scarcerazione: uno di loro è il suo amato. Come la maggioranza dei giovani che protestano, anche Najan non ha paura, la sua giovinezza la protegge, una rabbiosa baldanza le fa da scudo; l’essere insieme a decine di sue coetanee le dà la forza di una rabbia condivisa.

Najan è una lontana parente di quel Habib Elghanian, businessman e notabile della comunità ebraica iraniana condannato a morte e giustiziato da un plotone di esecuzione nel 1979 con l’accusa di essere “una spia sionista”. Anche lei sa di rischiare la vita, ha bene in mente la sorte di Asra Panahi, 16 anni, di Nika Shakarami, 17 anni, Parmis Hamnava, 14 anni, di Ghazaleh Chalabi, di Hadith Najafi e di molte altre ragazze (74 oggi, per la precisione), uccise per strada a colpi di revolver oppure in carcere. E sono più di mille quelle sotto processo.

Najan lo sa, costeggiare il precipizio del vivere è inevitabile se vuoi essere giovane in Iran dove la metà della popolazione è fatta di donne e di giovani sotto i 35 anni. Lei sa chi è, sa chi vuole essere e diventare. Anche se ha solo 18 anni, conosce la fatica di conquistare la propria identità. Non servono a fermarla le suppliche di sua madre che la esorta a non togliersi il foulard. Mentre i suoi genitori, zii e nonni hanno sperimentato la crudele brutalità del regime e per prudenza rilasciano ai media dichiarazioni favorevoli al governo “che tratta molto bene noi ebrei”, Najan ne ha abbastanza delle angherie della “polizia morale”, degli arresti di coetanei, del veder calpestata ogni giorno davanti alle scuole la bandiera di Israele disegnata sul marciapiede con del gesso colorato. Misoginia e antisemitismo a volte si danno la mano.

La ragazza si chiede quale futuro abbia questa comunità ostaggio del regime da più di quarant’anni, una comunità invisibile, che ha il permesso di vivere solo se sta buona e non fa chiasso. Ciononostante, si rifiuta di espatriare in Israele o altrove, si sente iraniana, ama Teheran, ama i suoi amici. Qualche tempo fa, qualcuno ha avvisato i genitori che la giovane è stata fotografata e che potrebbe essere riconosciuta e arrestata. Per questo ha cominciato a nascondersi.

La storia di Najan me la raccontano alcuni amici iraniani che conoscevano quell’Habib Elghanian di cui abbiamo parlato all’inizio, il primo ebreo a essere ucciso dal regime degli ayatollah e la cui morte spinse il 90 per cento dei più di 80 mila ebrei a espatriare. Tuttavia, ancora oggi, in Iran vive la più grande comunità ebraica del Medioriente dopo Israele, tra le dieci e le venticinque mila persone (meno dell’1 per cento della popolazione), concentrate principalmente a Teheran, a Isfahan e a Shiraz. Tutti ricordano la seconda ondata di delegittimazione che prese il via nel 2006, quando l’ex presidente Ahmadinejad decise di scatenare contro Israele e il mondo ebraico una campagna di odio e di negazione dell’Olocausto. Com’è noto, il paradigma dello stato di salute di una società civile viene abitualmente definito in base a come vengono trattate le sue donne, i suoi ebrei e, più in generale, le varie minoranze (etniche, religiose, di genere…). Più una società è malata, peggiori sono le condizioni in cui versano questi gruppi. Misoginia e antisemitismo a volte si danno la mano.

Fiona Diwan