Davanti alla catastrofe del terremoto in Turchia e Siria, anziché aiuti c’è chi semina odio contro Israele

Taccuino

di Paolo Salom

Gli amici veri si vedono nei momenti difficili. Accade per i singoli esseri umani come per le nazioni. Di fronte a tragedie come il terremoto che ha devastato la Turchia e la Siria, con decine di migliaia di vittime, la macchina della solidarietà si è comportata come una cartina tornasole. Due Paesi musulmani sono stati messi in ginocchio dalla Natura (uno dei due ancora immerso in una spaventosa guerra civile) e l’Occidente si è mosso senza esitazione inviando aiuti, soccorritori e mezzi per contribuire a salvare quante più vite possibile. Tra i primi a mobilitarsi Israele, che non soltanto ha inviato una squadra di oltre 400 uomini e donne in Turchia, Paese con il quale ha ristabilito normali relazioni diplomatiche dopo un lungo periodo di tensioni. Ma ha offerto assistenza anche alla Siria, nazione con la quale di fatto è ancora tecnicamente in guerra, visto che tra Gerusalemme e Damasco non è mai stato siglato un trattato di pace.

È evidente come, di fronte a disastri di tali proporzioni, le questioni internazionali cessano di avere un senso compiuto: le popolazioni rimaste senza un tetto, sfregiate dalla violenza del sisma, mutilate di affetti e mezzi produttivi, per di più nel pieno di un inverno gelido, hanno bisogno di tutto fuorché di sterili polemiche. Una mano tesa è una mano tesa, non importa da dove arrivi.

Eppure, anche in una situazione come questa abbiamo assistito nel lontano Occidente a prese di posizione indegne di un consesso umano. Da una parte, la figlia di Assad che, dall’esilio dorato londinese, ha messo in guardia dall’assistere le zone controllate dai “ribelli”, invitando i donatori a passare soltanto da Damasco. Dall’altra la schiera dei soliti commentatori che hanno criticato lo Stato ebraico perché, offrendo aiuto, avrebbe “cinicamente sfruttato” il dolore altrui per (presunti) vantaggi politici.

Questo è il mondo oggi. Una Torre di Babele dove tutti urlano nella propria lingua sapendo di essere compresi (grazie alla tecnologia non ci sono più barriere insormontabili) e facendo a gara nel provocare fauda ovunque possibile.
Fauda, come gli appassionati dell’omonima serie televisiva ben sanno, significa caos in arabo. Un caos che oggi potrebbe essere serenamente evitato, viste le capacità dell’umanità di far fronte ai problemi. Eppure non è così. Se è vero che l’antisemitismo è un segnale che una società è malata, ora è sempre più necessario essere consapevoli che noi ebrei, e con noi Israele, abbiamo di fronte tempi duri. Se nemmeno un terremoto, con la sofferenza immane che è capace di portare con sé, riesce a spegnere un odio tanto antico quanto inesauribile, non serve chiudere gli occhi o far finta di nulla. Molto meglio essere presenti a se stessi e forti nella solidarietà: proprio come Israele è ogni volta capace di fare.