Manuel Buda: il mio mix incantato di melodie ebraiche

Personaggi e Storie

di Ilaria Myr

Eclettico, musicalmente “onnivoro” e curioso, capace di mescolare atmosfere e ritmi di tradizioni giudaiche più disparate. Musicista e chitarrista, Manuel Buda crea progetti musicali che vanno dal klezmer al sound sefardita, fino alla musica antica nata in Italia, un percorso di ricerca continuo e prolifico. Un viaggio musicale nel tempo e nello spazio del destino ebraico

 

«Che cos’è la musica ebraica? È un mondo difficile da definire, fatto di influenze di tante culture diverse quanti sono i luoghi in cui hanno vissuto e vivono ebrei, in cui la componente spirituale legata alla liturgia ha spesso un ruolo importante. Ma è anche un universo in continuo divenire, che si arricchisce giorno dopo giorno degli aspetti quotidiani della vita ebraica, nell’incontro con mondi diversi con cui entra in un contatto prolifico e benefico». Parola di Manuel Buda, chitarrista e musicista molto noto per essere riuscito a portare al di fuori del mondo ebraico le sonorità ebraiche in tutte le numerose iniziative che lo vedono protagonista. Molti forse lo avranno visto alla Giornata europea della cultura ebraica del 2020 ai Bagni Misteriosi con la Klezparade Orchestra, un’orchestra da lui messa in piedi composta da 15 musicisti per fare musica klezmer, tipica del mondo ashkenazita. O forse in qualche serata di Caffè Odessa, in cui lui e Miriam Camerini disquisiscono, suonando e cantando, di musica ebraica. O ancora, in una delle esibizioni del NefEsh Trio, composto con i colleghi Daniele Parziani e Davide Tedesco, che per creare le sue composizioni attinge da un bagaglio immenso di melodie che comprende musica klezmer, sefardita, yemenita e israeliana. Ma anche altri stili e altri mondi quali jazz, musica balcanica, tango, echi di melodie arabe e altre forme di musica popolare attraversano continuamente le note del Trio. E poi ci sono le attività nelle scuole statali con i bambini a cui insegna alcune canzoni ebraiche, così come al movimento Shorashim, le partecipazioni a vari festival di musica klezmer e a convegni dedicati alla musica ebraica…Tante attività, che Manuel Buda riesce a ideare e realizzare in giro per il mondo, passando, quando riesce, da Milano, sua città natale, e Budapest, città di adozione.

Manuel, che cos’è per te la musica ebraica? E qual è stato il tuo percorso in questo ambito?
La musica ebraica è cruciale per il mio essere ebreo. Provengo da una famiglia mista poco osservante, e la scoperta delle musiche ebraiche quando ero un bambino all’Hashomer Hatzair mi ha aperto davvero un mondo. Ho scoperto che quelle melodie, su cui venivano ballate le danze israeliane, mi muovevano davvero qualcosa dentro. Questo è stato il primo seme di quella che sarebbe poi diventata la passione della mia vita e la mia professione. A 10 anni ho iniziato a suonare la chitarra, prima quella elettrica (ero un rockettaro) e poi, man mano, mi sono spostato su quella classica. Mentre studiavo all’università, alla Facoltà di fisica, ho dato i miei primi esami al Conservatorio da privatista, e alla fine del primo anno sono stato ammesso. Ho quindi portato avanti i due studi in contemporanea: quello più scientifico dell’università e quello più creativo della musica, che rispecchiano perfettamente le due anime che convivono in me. In quegli anni accompagnavo anche mia madre e mia zia al coro ebraico Kol haKolot, dove spesso mi facevano suonare, e così la mia conoscenza della musica ebraica cresceva mentre insegnavo chitarra già da alcuni anni.

Nel 2003 ho musicato La sposa persiana di Carlo Goldoni per il teatro, e nel farlo mi sono reso conto di aver già accumulato un certo bagaglio di musiche e scale che guardavano a Est, ma soprattutto ho realizzato quanto mi sentissi a casa fra quei suoni. E intanto suonavo a matrimoni ebraici, Bar mitzva e feste ebraiche varie…
Nel 2006 ho fondato il NefEsh Trio, che già nel 2008 e 2009 si è fatto notare al festival del Klezmer di Tzfat; in parallelo sperimentavo le stesse musiche in un duo di chitarre con Giulio Nenna. Nel 2007 mi sono diplomato al Conservatorio e, due anni dopo, laureato in fisica. Ma avevo già una professione tra le mani, quella del musicista.

Che cosa dà la musica ebraica e cosa vuoi dare tu con la tua attività?
Penso che la cosa più forte che la musica ebraica comunica sia lo splendido incrocio di influenze diverse e la bellezza di questa complicata storia millenaria, che è quella del popolo ebraico. Poi c’è il dialogo continuo fra la componente spirituale e quella più quotidiana, che rende ancora più unico questo universo. È soprattutto questo, credo, che affascina il pubblico non ebraico, ma anche i musicisti che mi accompagnano nei diversi miei progetti: in KlezParade, ad esempio, su 15 componenti sono l’unico ebreo.
Questo da una parte è bellissimo, il vedere grande interesse “da fuori” per la musica e la cultura ebraica, ma dall’altra mi fa domandare come mai nel mondo ebraico italiano la pratica musicale, e particolarmente sulla musica ebraica, sia così rara. Anche su questo ho cercato e cerco di fare la mia parte per una maggiore diffusione. La musica ebraica è un mix di pensiero e nostalgia con una gioia esplosiva che non si ritrova nel patrimonio musicale italiano: da un lato c’è la taranta, che è allegria, dall’altro la musica napoletana, che è molto malinconica, ma i due aspetti intrecciati non si trovano. E poi la musica ebraica parla di cultura, di tradizione, di storia, ed è questo che piace alle persone.

Quali sono i progetti che hai realizzato in questi anni che alimentano la tua ispirazione e cultura?
Come vedi non sto mai fermo… Continuo a fare Caffè Odessa con Miriam Camerini – di recente eravamo a Zurigo all’Istituto Italiano di Cultura – e a suonare in trio con Ashti Abdo, polistrumentista curdo siriano, e Fabio Marconi, che suona una rara chitarra a 7 corde: insieme proponiamo musiche di aree che vanno dall’Italia fino al Medio Oriente, passando per i Balcani, la Grecia, l’Est Europa, e avanti fino al Caucaso, in un arricchimento reciproco molto fertile. C’è ovviamente anche il NefEsh Trio, con cui abbiamo suonato di recente a Bratislava per la Radio Nazionale, mentre il 10 aprile faremo un concerto nella città ungherese di Veszprém, capitale europea della cultura 2023. Dal 2017, poi, partecipo ogni anno ai festival di musica Klezmer in giro per il mondo – primo fra tutti quello di Weimar -, dove ho la possibilità di conoscere di persona i migliori musicisti del mondo in quest’ambito.

E poi c’è KlezParade, il progetto forse più ambizioso, che ho messo in piedi per la Giornata Europea della cultura ebraica 2020 in piena pandemia. Quando Olympia Foà, all’epoca assessore ai giovani della Comunità ebraica, mi ha chiamato per chiedermi un concerto dei NefEsh, le ho risposto che avremmo dovuto creare qualcosa di molto più grande, per dare un messaggio positivo in un momento molto difficile per tutti. Lei ci ha creduto assieme a me, e ho quindi contattato colleghi da tutta Italia che fanno musica ebraica: in tanti hanno risposto con entusiasmo alla mia proposta e il concerto è stato un successone. Da allora ci siamo esibiti ancora, e l’obiettivo ora è di trovare dei finanziamenti per diventare una struttura stabile, che vada anche nelle scuole a fare cultura.

Su quali fronti sei stato impegnato nell’ultimo anno?
Sono stati mesi molto intensi. A novembre 2022 sono stato invitato con Miriam Camerini e Enrico Fink a Phoenix a un convegno universitario sulla musica degli ebrei in Italia nella storia. È stata una vera sfida, perché in Italia gli ebrei non hanno quasi mai prodotto una musica squisitamente ebraica: quasi sempre ciò che hanno scritto era legato alla musica locale.

Oltretutto per secoli la produzione della musica era predominio della Chiesa, e quindi gli ebrei erano di fatto esclusi dalla realizzazione di musica propria. Nelle nostre ricerche abbiamo però trovato alcune tracce: dai più noti Salomone Rossi, fra ‘500 e ‘600, e Mario Castelnuovo Tedesco, nel ‘900, a brani meno conosciuti, come un inno scritto per l’emancipazione da un rabbino piemontese, o un brano in dialetto molisano medievale che abbiamo musicato. È stato davvero un viaggio interessante.


A gennaio poi il Pime, per la Giornata del dialogo ebraico-cristiano, mi ha chiesto di scrivere un articolo sulla mia attività legata al dialogo attraverso la musica, e in particolare sulla mia esperienza nelle scuole, che spero di tornare presto a fare. Il 22 gennaio con il trio Abdo Buda Marconi abbiamo proposto al Refettorio Ambrosiano una lettura interreligiosa del libro di Giona, mentre il 23 gennaio con il NefEsh Trio ero alla cena di gala di Beteavon. E ancora: ho composto e inciso per il Cdec musiche per alcuni podcast di prossima uscita sugli ebrei che hanno partecipato attivamente alla Resistenza, mentre con i NefEsh stiamo confezionando per il Centro Rai di Trieste il video del concerto che abbiamo fatto l’anno scorso nella città friulana per il Giorno della memoria, che verrà con tutta probabilità trasmesso integralmente.

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
Conoscendomi farò sempre più cose. Mi piacerebbe, ad esempio, portare le melodie in Calabria, terra di origine di mio padre, dove molti stanno riscoprendo le proprie radici ebraiche e c’è un grande interesse verso questo mondo. Come la musica ebraica assorbe e si arricchisce sempre di nuove influenze, così io sono aperto al mondo e agli stimoli che esso mi può dare. In fondo, la musica ebraica condensa un mio modo di essere e di vivere la vita.

 

Foto in alto: Manuel Buda e Miriam Camerini in Caffè Odessa (© Luca Piva)