Addio a Dory Bonfiglioli Schönheit: la capacità di mediare e di guardare avanti

Necrologi

di Sabina Fedeli Schönheit

Amava raccontare quel suo nome che a tanti sembrava strano ma che invece i bambini associavano subito al pesciolino dei cartoni animati: Dory. L’aveva scelto suo papà abbreviando l’appellativo di una dea della mitologia greca Doreide e lei se lo portava addosso con orgoglio perché gliel’aveva dato il babbo adorato, Renzo Bonfiglioli, un socialista di razza come la moglie Ida. Nel ’40 era stato allontanato forzatamente da Ferrara, dove era nato, e spedito al confino nelle Marche.

Anche se lei aveva solo nove anni, non c’era stato bisogno di tante parole per spiegarle cosa significava essere antifascista. E Dory quel valore, assieme a quello della Resistenza, non l’ha mai dimenticato. La vedo ancora davanti col fazzolettino dell’ANPI legato al collo, in corteo, tutti i 25 aprile. Per tutta la vita ha saputo da quale parte voleva stare.

 

Altro punto certo è che voleva vivere nella contemporaneità. Lo ha fatto fino all’ultimo con una curiosità per il mondo e una fame di libri e di giornali che la trovavano sempre informata e pronta al confronto, schivando il più possibile le polemiche. La sua forza stava infatti nella capacità di mediare, ma senza troppo cedere, con intelligenza e acume. Lo dimostra già all’esame di quinta elementare quando le affidano il tema dal titolo “Perché ami il Duce”. Cacciata dalla scuola pubblica a causa delle leggi razziali, aggira l’ostacolo e scrive “Non lo conosco abbastanza bene per poterne dare un giudizio” e poi devia narrando della sua famiglia.

 

Lo scontro non le piaceva, preferiva andare comunque d’accordo, ed era animale sociale senza soluzione di continuità. Leone e Michi sostengono che la nonna – il suo profilo è su Facebook –  oggi sarebbe diventata sicuramente un’influencer.

E tanto lei era loquace tanto Franco Schönheit, suo marito, era di poche parole, benché sempre piene di humor e azzeccatissime. La loro è stata una storia d’amore lunga settant’anni, partita con l’innocenza della gioventù e le cicatrici della persecuzione. Franco finito col padre nel lager di Buchenwald  a soli 17 anni, Dory nascosta in campagna e poi costretta a una fuga drammatica verso la Svizzera nel marzo del ’44. Per rendere più sicuro il tragitto sulle montagne sopra il lago Maggiore a lei, a suo fratello Geri e agli altri bimbi del gruppo in cerca di salvezza, infilano dei chiodi nelle suole delle scarpe. Devono servire a non scivolare. Quella notte però c’è la neve e l’accorgimento fa cilecca. Dory ruzzola per un po’ di metri. Lunghi minuti prima che il padre la recuperi nel buio. Racconterà di aver avuto la forza di non urlare per non farli scoprire. Credo però che quel grido soffocato, quella paura trattenuta, le sia rimasta dentro per sempre, che l’abbia resa desiderosa di protezione e allo stesso tempo le abbia insegnato a vedere il bicchiere mezzo pieno. Di quel viaggio travagliato preferiva ricordare la parte positiva: “le lucine che vedevo oltre la rete, oltre il confine, che significavano che eravamo salvi”.

Per i nipoti e i figli degli amici la nonna aveva il profumo dei suoi mitici “scacchi”, una pietanza ferrarese cucinata con azzime, piselli e spinaci che il nonno trasportava quando si andava “in trasferta” in apposita valigia. Ne divoravano a tonnellate ogni Seder.

Dory se ne è andata proprio due giorni prima di Pesach preservando intatto il suo sguardo di “ragazza”, la schiena dritta, nonostante abbia subito anche la pena più devastante per una madre: la perdita della figlia Alisa. Nessuna autocommiserazione, il sorriso sempre in punta di labbra, la determinazione di pensare al futuro, come le aveva tramandato sua nonna Isa, morta ad Auschwitz il campo dove Dory si era recata con la Comunità ebraica nel 2019.  “Bisogna fare come i cavalli, mettere il paraocchi e guardare avanti”. Promessa mantenuta.

Dory mia dolce suocera, “molto poco suocera”, che tu possa riposare in pace.

 

Foto in alto: Dory Bonfiglioli Schönheit con il figlio Gadi e il marito Franco.