di Pietro Baragiola
Verso la fine del 1941 circa 4000 ebrei furono deportati nel campo di concentramento di Jungfernhof fuori dalla città di Riga, in Lettonia, e, nel giro di pochi mesi, quasi tutti furono uccisi o costretti a lavorare fino alla loro morte.
“Oggi di questo sito storico non rimane niente” spiega Karen Frostig, professoressa di storia dell’arte alla Lesley University di Boston, Massachusetts. Sul luogo del vecchio campo di concentramento ora non ci sono memoriali bensì un magnifico parco pubblico sulle rive di un fiume, con una pista di rollerblades dove ragazzi di tutte le età trascorrono i loro pomeriggi.
Per Frostig vedere che la storia di questo luogo non ha avuto il rispetto che merita è ancora più doloroso perché i suoi nonni persero la vita nel campo di Jungfernhof. Questo ha spinto la professoressa a recarsi di anno in anno sul luogo della vicenda con nuove proposte volte al governo lettone per tenere viva la memoria delle vittime di questo luogo che, citando Frostig nella sua intervista a The Times of Israel, “non è stato dimenticato, è stato semplicemente non ricordato”.
Il campo di Jungfernhof
Karen Frostig, nata da una famiglia ebraica, iniziò a scoprire la storia del campo di Jungfernhof quando, nel 1991, trovò nel seminterrato della madre una scatola con dentro i documenti che suo padre usò per fuggire da Vienna dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938. I nonni di Frostig, invece, non riuscirono a scappare e furono tra gli ebrei di origine austriaca ad essere deportati da Vienna fino a Jungfernhof, una tenuta agricola abbandonata sul fiume Daugava, a pochi chilometri dalla città di Riga. Questo campo di concentramento “improvvisato”, operativo dal dicembre 1941 al marzo 1942, serviva per contenere la manodopera sfruttata per la costruzione del campo di Salaspils. Secondo le testimonianze di alcuni dei superstiti, il campo comprendeva un magazzino, tre grandi fienili e diverse baracche e stalle dove dormivano i prigionieri. Non essendoci recinti o torri di guardia, Jungfernhof era pattugliato costantemente da un gruppo di 10-15 poliziotti ausiliari lettoni, guidati dal comandante tedesco Rudolf Seck.
Quando Frostig visitò il sito del campo (per la prima volta nel 2007 e di nuovo nel 2010) rimase scioccata dal fatto che, di quel luogo terribile non v’era rimasta alcuna traccia ed era interamente coperto da immondizia come una vera discarica.
Frostig, sconvolta, si recò dal governo lettone per presentare l’idea di un memoriale ma venne velocemente congedata dalle autorità. Quando la professoressa tornò nel 2019, la spazzatura era completamente sparita e il sito era stato trasformato in uno stupendo parco pubblico con un’insegna che faceva solo brevemente riferimento alle atrocità inflitte nel campo con la scritta “in questo luogo diversi ebrei di origine tedesca ed austriaca furono forzati a lavori agricoli”.
Vittime e sopravvissuti
Nonostante abbia avuto una storia breve, il campo di Jungfernhof divenne la prigione di 3984 ebrei, tra cui 136 bambini sotto i dieci anni e 766 anziani. Furono 800 a morire nel campo a causa dell’inverno gelido, delle malattie, delle torture e della malnutrizione ma lo sterminio non si fermò alle mura di Jungfernhof: il 26 Marzo 1942, con la falsa promessa di un lavoro meno faticoso, più di 1800 detenuti furono guidati nella foresta di Bikernieki, dove vennero fucilati nell’Aktion Dünamünde, lo sterminio che prese di mira bambini, anziani e infermi. Questo massacro fu organizzato dagli ufficiali delle SS tedesche e dal Commando Arājs, una speciale unità ausiliaria di polizia della Lettonia sotto il comando del collaborazionista Viktors Arājs. Alla fine del conflitto dei 3984 ebrei catturati, solo 149 sono sopravvissuti agli orrori di Jungfernhof e hanno tenuto viva la memoria dei caduti con le proprie famiglie.
Karen Frostig è riuscita a riunire un gruppo di figli dei sopravvissuti di Jungfernhof per permettere loro di condividere testimonianze su come questo periodo oscuro abbia avuto ripercussioni sulle loro vite.
“Di questo gruppo fanno parte anche tre superstiti di Jungferhof e la loro presenza, ogni volta, colpisce nel vivo i presenti” racconta Frostig. È stato proprio questo gruppo, con i suoi raduni mensili, ha dare alla professoressa l’idea per il nuovo memoriale delle vittime di Jungfernhof: “l’armadietto della memoria”.
L’armadietto della memoria
Tornata a Riga, Frostig ha ottenuto il supporto della comunità ebraica lettone, e, con l’aiuto del celebre archeologo dell’Olocausto, il dottor Richard Freund, e di un team di ricercatori ha passato le ultime estati nel tentativo di trovare la fossa comune di Jungfernhof dove furono sepolte le 800 vittime, morte nel campo. Nonostante i tentativi dei nazisti di cancellare ogni prova dei loro omicidi, grazie ad un radar sotterraneo i ricercatori hanno già rinvenuto i resti di un fienile.
Una volta ritrovato il sito della fossa comune, Frostig intende posizionarvi sopra un largo cubo nero d’acciaio con incisi i nomi dei 3,985 prigionieri del campo (nella foto in alto un rendering) inclusi i 149 superstiti. Questo cubo sarà vuoto all’interno, come una sorta di tenda per non toccare il terreno di sepoltura dei caduti, e sui lati principali sarà coperto da alcuni veli che, muovendosi con il passaggio del vento, simboleggeranno il respiro dei detenuti.
“L’obiettivo è riportare in vita la storia di un sito dimenticato e preservarla in futuro” spiega Frostig, affermando che “l’unico modo in cui ciò è possibile è se rendiamo questo posto un luogo di riflessione denso di significato per il pubblico di passaggio”.
Il progetto di Frostig non intende privare il parco delle sue funzioni quotidiane ma piuttosto donargli un’esperienza in più che istruisca i visitatori sulla storia del luogo.
Per il momento non ci sono state opposizioni verso il nuovo progetto e anzi Frostig ha notato che, nei suoi continui viaggi a Riga, la popolazione lettone sta manifestando sempre più un bisogno di scendere a patti con il loro ruolo durante quel tragico periodo storico e oggi collabora con la comunità ebraica per educare le generazioni future attraverso strumenti interattivi come mappe 3d delle stragi dell’olocausto e itinerari dei trasporti degli ebrei nei campi di concentramento.
“Le persone si stanno sentendo sempre più coinvolte nel preservare questi luoghi” afferma Frostig che, insegnando a ricordare la storia di Jungfernhof, mantiene in vita la memoria dei suoi cari.