di Pietro Baragiola
Sono le 20:00 (ore israeliane) del 24 aprile quando una sirena inizia a suonare per un minuto intero ed ogni cittadino ebreo ferma qualsiasi azione stia svolgendo in quel momento per ricordare i caduti. Questo evento segna l’inizio dello Yom HaZikaron (Giorno del Ricordo) la giornata dedicata ai civili ed ai soldati vittime delle guerre e del terrorismo.
Quando nei primi anni dopo la dichiarazione dello stato d’Israele si decise di dedicare il giorno dell’Indipendenza al ricordo delle vittime, i famigliari dei caduti chiesero se fosse possibile stabilire un giorno separato dalle festività che fosse dedicato al cordoglio per i loro cari. Fu così che dal 1963 divenne legge che il quarto giorno di Iyar (mese del calendario ebraico), cioè il giorno precedente allo Yom haAtzamaut (Giorno dell’Indipendenza), venisse dedicato agli eroi caduti nelle guerre che per lo Stato d’Israele. Come ogni anno la comunità ebraica di Milano, in associazione con i movimenti giovanili Hashomer Hatzair e Benè Akiva celebra lo Yom HaZikaron e durante quest’edizione la cerimonia è organizzata dall’Adei Wizo, (Associazione Donne ebree italiane).
Yom HaZikaron a Milano
“È un momento solenne e fortemente identitario a cui gli ebrei italiani guardano con commozione ricordando ciascuna delle 24.213 vittime, stringendosi alle proprie famiglie” spiega Sylvia Sabbadini, presidente di Adei Wizo Milano.
Sabbadini dà il via al suo intervento, annunciando una tragica notizia: poche ore prima dell’evento, a Gerusalemme, un’auto ha travolto e ferito 8 persone, di cui uno in gravi condizioni, nelle vicinanze del mercato di Mahane Yehuda. Questo attacco terroristico è stato deliberatamente organizzato per colpire i cittadini riuniti nelle cerimonie di lutto di Yom HaZikaron.
Nonostante l’atrocità di questa notizia Sabbadini cita le parole del discorso del 2014 dell’ex presidente d’Israele, Shimon Peres: “non lasceremo andare i ricordi di tutto ciò che abbiamo perso”, aggiungendo che finché continueremo a ricordare i nostri caduti questi continueranno a vivere in mezzo a noi e nelle generazioni future.
“Israele è un continuo e costante miracolo, ma questo miracolo ha un costo altissimo” spiega, commosso, Ilan Boni, assessore ai giovani e vicepresidente della comunità ebraica. Questo costo non va contato solo in termini di vite spezzate dalla guerra e dal terrorismo ma anche in tutti i giovani che potrebbero avere una vita normale come i loro coetanei ed invece non possono perché devono restare al fronte con un mitra tra le braccia, pronti a difendersi. Il costo è pagato anche dai cittadini più fragili come neonati, donne incinte ed invalidi che non possono stare tranquilli neppure nelle loro case perché in qualsiasi luogo e momento può suonare una sirena che li informi dell’arrivo di un missile e dunque si trovano ad abbandonare le loro amate dimore per scappare verso nuovi rifugi senza neanche un secondo per pensarci. “Ancora dopo 4000 anni gli ebrei fanno fatica a vivere la loro fede senza paura” continua Boni. “Noi stasera siamo qui per promettere alle famiglie dei caduti che continueremo a portare la bandiera di coloro che non ci sono più.”
Il ricordo delle vittime
Quasi ogni giorno in Israele ci sono cerimonie funebri per le vittime del terrorismo. Ad oggi ci contano oltre 26.000 famiglie colpite: quasi 10.000 sono genitori ai quali è stato ucciso un figlio, 4.917 le vedove di soldati e 1.948 gli orfani al di sotto dei trent’anni.
Raccontando la storia delle vittime recenti, i ragazzi dei movimenti giovanili Hashomer Hatzair e Bnei Akiva ricordano la tragedia della famiglia Dee, di origine britannica. Lucy Leah Dee (45 anni) era in viaggio con le figlie Maya (20 anni) e Rina (15 anni) nella Valle del Giordano per celebrare la Pasqua ebraica quando la loro auto venne accostata da una vettura pilotata da terroristi palestinesi. Il cecchino a bordo aprì immediatamente il fuoco sull’auto delle donne ferendole mortalmente: Maya e Rina morirono sul colpo e a pochi giorni di distanza, dopo una stregua resistenza in Ospedale, anche Lucy si spense, a causa delle ferite subite. Il rabbino Leo Dee, marito di Lucy e padre di Maya e Rina, nonostante l’immensa tragedia che ha colpito la sua famiglia, ha invitato i suoi connazionali a non cedere al terrore e ha chiesto a tutti coloro che avessero social network di postare la bandiera d’Israele sui propri profili.
Storie ricche di dolore che, però, non hanno spento la speranza, la stessa speranza per cui si è battuto Angelo Sed, detto “Momo”, che morì durante un’esercitazione militare combattendo per difendere la sua Israele e tutto quello che rappresentava: libertà ed uguaglianza. Un messaggio di speranza emerge anche dalla brutale aggressione e omicidio di Ori Ansbacher, la 19enne israeliana, trovata nella foresta a sud-ovest di Gerusalemme dopo essere stata stuprata, sfregiata in viso ed infine decapitata. Come testimoniano i suoi famigliari, Ori era una ragazza dai forti ideali di amore ed altruismo verso il prossimo ed è morta mentre faceva il servizio di volontariato civile nella scuola YEALIM per ragazzi ad alto rischio. L’ultima poesia scritta da Ori, e celebrata durante lo Yom HaZikaron della comunità ebraica di Milano sotto forma di canzone, sembra quasi un testamento della ragazza come inno alla speranza e alla fiducia per la pace. Queste le parole: “fai in modo che il tuo mondo sia un mondo di Pace, una pace universale. Ricorda il miele che c’era prima che sei stata perseguitata. Connettiti a quella dolcezza che avevi. Crea un mondo di pace riconciliandoti con te stessa e con il tuo amato, crea la pace dentro te stessa prima di ogni accordo, compromesso e guerra.”
Non tutte le vittime sono ebree: Alessandro Parini, avvocato romano di 35 anni, è stato travolto dall’auto di un terrorista mentre era in vacanza con amici sul mare di Tel-Aviv, morendo sul colpo.
Figli, fratelli, madri e padri che con le loro vite plasmano la storia d’Israele, una storia che, come spiegato da Sabbadini, ha come medaglie le lacrime dei suoi cittadini. L’ultimo ospite, il sergente riservista e shaliah del Bnei Akiva Ofir Betesh, spiega che dobbiamo imparare da questi racconti e volgere lo sguardo verso un futuro migliore in memoria dei nostri cari. “Con la loro morte ci hanno insegnato la vita” conclude Betesh.