Giuseppe Levi con la miogòlie Lidia Tanzi sulla spiaggia di Forte dei Marmi qqualche anno prima della sua espòluslione dall'Università di Torino

Giuseppe Levi, Padre di Natalia Ginzburg e Maestro di tre Premi Nobel: Rita Levi-Montalcini, Salvador Luria e Renato Dulbecco

Feste/Eventi, Kesher

di Anna Balestrieri
Allo scienziato ebreo antifascista Giuseppe Levi è stato dedicato l’incontro Kesher di domenica 21 maggio.

I relatori Alberto Cavaglion, Andrea Grignolio Corsini e Domenico Ribatti hanno analizzato, moderati da Michael Soncin, i diversi aspetti di una personalità che ha segnato la storia italiana come fiero oppositore del regime e la storia della scienza mondiale, mentore di tre premi Nobel, autore della Legge Levi (1935), tra i pionieri della cultura in vitro.

Ognuno dei relatori ha gettato luce su un lato della multiforme figura. Il padre burbero di Natalia Ginzburg nel Lessico familiare ed il mentore rigoroso dell’autobiografia Elogio dell’imperfezione di Rita Levi Montalcini. La ricostruzione della sua figura letteraria è stata affidata allo storico Cavaglion, come trasmessa dai due grandi ritratti recensiti anche sulle pagine di Mosaico. Lo storico è tra gli autori del libro Rita Levi Montalcini e il suo Maestro. Una grande avventura nelle neuroscienze alla scuola di Giuseppe Levidi cui ha curato il saggio Un laboratorio privato alla Robinson Crusoe.

Originario di Trieste, Levi si stabilì a Torino, dove insegnò e condusse importanti ricerche nel campo dell’istologia. Lavorò anche a Palermo, come ricorda lo spassoso episodio dell’operazione anatomo-patologica sul pesce luna raccattato fortunosamente al mercato nel Lessico familiare. E anche a Sassari, come ha voluto rammentare un partecipante alla conferenza. Gli studi a Firenze, poi la Torino antifascista, con amicizie segnate dalla passione per l’alpinismo e dall’opposizione politica (tra gli altri, Massimo Mila) e la dimensione familiare, in cui le sperimentazioni di Levi passavano dall’istologia alla linguistica, con l’invenzione di neologismi interdialettali, le “negriture” e gli “sbrodeghezzi” che fecero il Lessico familiare. Questi i dettagli fatti emergere da un Cavaglion critico della lettura intransigente di Natalia e più incline a credere al ritratto della studentessa Rita Levi, quello di uno scienziato rigoroso ma affettuoso.

Le leggi razziali costrinsero Giuseppe Levi ad abbandonare l’università e ad una vita in semi-clandestinità per evitare i rastrellamenti. Nonostante ciò, proseguì i suoi esperimenti in collina come sfollato, con l’aiuto del Nobel Rita Levi Montalcini.

Domenico Ribatti (autore del saggio edito da Carocci Il maestro dei Nobel. Giuseppe Levi, anatomista e istologo) ed Andrea Grignolo Corsini (qui uno dei suoi contributi) si sono concentrati sull’eredità scientifica di Levi e sui suoi allievi.

Rita Levi-Montalcini fu pioniera nello studio dei fattori di crescita, individuando il fattore di crescita nervoso (NGF) e dimostrando il suo ruolo fondamentale nello sviluppo e nella sopravvivenza delle cellule nervose. La sua ricerca ha contribuito significativamente alla comprensione delle basi cellulari dello sviluppo e delle malattie neurologiche, aprendo nuove prospettive per la medicina riguardo al trattamento di patologie come il cancro e l’Alzheimer.

Salvador Luria è noto per le sue fondamentali scoperte nel campo della genetica e della virologia. Insieme a Max Delbrück, ha condotto gli esperimenti che hanno dimostrato l’esistenza dei batteriofagi, virus che infettano i batteri (secondo lo storico della medicina Grignolio, “i virus che hanno prodotto più Nobel per la Medicina nella storia”), contribuendo all’approfondimento della teoria della genetica batterica e alla comprensione dei meccanismi dell’evoluzione.

Renato Dulbecco è noto per le sue significative scoperte nel campo della virologia e della biologia molecolare, uno dei pionieri nello studio dei virus oncogeni, capaci di indurre la formazione di tumori. Dulbecco ha sviluppato nuove tecniche per la coltivazione di cellule in vitro, consentendo lo studio dei virus e delle cellule tumorali in laboratorio. Le sue scoperte hanno avuto un impatto significativo nella lotta contro le malattie virali e nella comprensione dei meccanismi che regolano la crescita e la trasformazione delle cellule.

Gli allievi appresero da Levi un atteggiamento di rigore scientifico, “vale a dire imparare come impostare seriamente un esperimento e portarlo a conclusione. Apprendere l’importanza di comunicare i risultati: il maestro soleva dire che, non appena una serie di dati apparisse significativa, bisognava pubblicarne il resoconto. (…) La personalità del maestro era tale da incutere rispetto e da rendere operante il suo insegnamento. L’integrità, i modi burberi, le distrazioni, la professione di antifascismo, ne facevano una figura quasi leggendaria negli ambienti universitari.”

Quando il fascismo tagliò i fondi al laboratorio di Giuseppe Levi, giunse il provvidenziale sostegno della fondazione Rockefeller, che appoggiò e finanziò sia lui sia i suoi tre allievi nella fase dell’emigrazione.

Giuseppe Levi morì nel 1965, all’età di 93 anni, lasciando un’impronta indelebile. Il suo esempio fu ispiratore per gli studenti e la sua lotta contro l’ingiustizia e l’intolleranza rimangono parte integrante della sua eredità.