di Davide Foa
Dafna Meir è la ventottesima vita spezzata, la ventottesima vittima innocente di quella che viene comunemente chiamata “terza intifada” o “intifada dei coltelli”.
Come spesso accade in queste circostanze, più aumenta il numero dei morti, più questi finiscono nel dimenticatoio. Diventano un semplice numero: niente più identità ne specificità. Quando ci troviamo alle prese con una notizia, facilmente commettiamo l’errore di tralasciare quella che dovrebbe essere la parte più importante: il lato umano.
Chi era dunque Dafna Meir? Cosa ha fatto nella sua vita?
Viveva a Otniel, insediamento situato nella parte meridionale della West Bank. Di mestiere faceva l’infermiera presso il Sokora Medical Center di Beershe’ba: “Dafna salvava le persone e ora tutta la sua vita è stata presa di fronte ai suoi figli”, ha commentato il Prof Yohanan Peiser, direttore del Medical Center.
Lascia il marito, Natan, e sei figli: Renana (17), Akiva (15), Ahava (10), Noa (11), Yair (6), Yaniv (4).
Questi ultimi, Yair e Yaniv, sono stati adottati da Dafna e Natan. L’adozione era stata una chiara e primaria richiesta di Dafna a suo marito. Già, perché quando i due erano in procinto di sposarsi, lei pose una sola condizione, ovvero adottare dei figli, indipendentemente dal numero di quelli biologici.
Una scelta che rientra a pieno nelle qualità di Dafna, una donna solare e sempre disponibile, come la descrivono gli amici, ma soprattutto “determinata nel diffondere gentilezza in tutto il mondo”, come ha precisato Natan durante il funerale.
Lei stessa era una figlia adottata; all’età di ben tredici anni la sua famiglia biologica decise di darla in adozione, non riuscendo a mantenerla. “Ricordo il primo giorno che arrivasti da noi,” – dice Atara, la madre adottiva, durante il funerale – “volevo abbracciarti e tu hai fatto due passi indietro (…). Col tempo abbiamo iniziato ad apprezzarci e sei diventata nostra figlia”.
Anche Ranana, la figlia più grande, ha pronunciato qualche parola per ricordare quella che per lei era più di una madre: “non ho perso solo una madre, ho perso anche la mia migliore amica”.
Domenica 17 gennaio, quando Abdullah Adais, sedicenne, è entrato in casa Meir, Dafna lo ha affrontato per difendere i suoi figli, testimoni della drammatica scena. È stata Renana a chiamare la polizia, dopo aver cercato di lottare anch’essa contro il giovanissimo terrorista.
Dal modo in cui ha affrontato il terrorista, dalla forza con cui ha protetto i suoi figli, emerge una piena consapevolezza, da parte di Dafna, del pericolo che circondava lei e i suoi cari ogni giorno.
Una consapevolezza che Dafna aveva deciso di condividere con il resto del mondo. A novembre, in seguito alla morte di Yaakov Litman e di suo figlio Netanel, uccisi dalle lame del terrorismo palestinese a pochi kilometri da Otniel, Dafna decise di esprimere le sue paure e preoccupazioni su un sito internet. “C’è grande tristezza nel mio lavoro. Faccio grande fatica ad addormentarmi dopo i turni”, e continuava esprimendo “paura, per mio marito e i miei figli, i miei amici e la mia famiglia”. Frasi che suonano oggi drammaticamente profetiche, specie quando Dafna afferma di sentirsi “in una roulette russa”.